Il dolore: un alleato che può trasformarsi in nemico

Sentire dolore, per quanto possa sembrare paradossale, è uno dei doni più preziosi che la natura ci ha fatto. È grazie a questa capacità che, ad esempio, ritiriamo subito la mano da una caffettiera troppo calda o evitiamo di camminare a piedi nudi su vetri rotti. Il dolore ci protegge, ci avverte dei pericoli e ci aiuta a evitare danni più gravi: è un sistema di allarme estremamente sofisticato, perfezionato dall’evoluzione per garantirci la sopravvivenza.

Alla base di questo sistema ci sono neuroni sensoriali molto speciali, il cui corpo cellulare si trova vicino alla colonna vertebrale. Le loro fibre si estendono in tutto il corpo, dalla pelle agli organi interni, pronte a rilevare stimoli potenzialmente dannosi — come un taglio, una bruciatura o il contatto con una sostanza corrosiva. Quando percepiscono questi segnali, inviano impulsi elettrici al midollo spinale, che li trasmette al cervello. È lì che avviene la “magia”: l’informazione si trasforma in percezione del dolore.

A questo punto, il cervello entra in azione per cercare di attenuare la sofferenza. Attiva una risposta lungo una “via discendente” che stimola il rilascio di endorfine e altri oppioidi naturali. Queste sostanze agiscono come calmanti, inibendo i segnali dolorosi e riducendo la sensazione percepita.

Fin qui, tutto funziona in modo armonioso. Ma il dolore, purtroppo, può anche perdere la sua funzione protettiva e trasformarsi in una vera e propria patologia. Succede quando si manifesta senza una causa evidente o continua a persistere anche dopo che la lesione iniziale è guarita. È ciò che accade con il dolore cronico, una condizione che colpisce milioni di persone in tutto il mondo (si stima che almeno 1 persona su 4 ne soffra o ne abbia sofferto).

Le cause del dolore cronico sono molteplici: dal cancro al diabete, dall’osteoartrosi alle malattie neurologiche. Chi ne è affetto spesso vede compromessa la propria qualità di vita, limitato nei movimenti, talvolta costretto a letto. E le soluzioni disponibili non sempre sono efficaci. I farmaci più comuni, come gli oppiacei o i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), presentano infatti rischi e importanti effetti collaterali: i primi possono causare dipendenza, i secondi danni a reni e cuore.

Per questo motivo, è sempre più urgente individuare nuovi bersagli terapeutici che permettano lo sviluppo di strategie analgesiche più efficaci e sicure. In questo contesto, la neuroinfiammazione si è guadagnata grande attenzione da parte della comunità scientifica.

La neuroinfiammazione è un’infiammazione che colpisce il sistema nervoso e coinvolge cellule gliali (come astrociti e microglia), l’infiltrazione di cellule immunitarie e il rilascio di molecole infiammatorie (citochine, chemochine). Questo processo può portare a una sensibilizzazione anomala dei neuroni sensoriali, sia nel sistema nervoso periferico sia in quello centrale, favorendo lo sviluppo di dolore cronico.

Negli ultimi anni, il nostro laboratorio si è dedicato con passione allo studio di questo fenomeno. Abbiamo dimostrato che bloccare la neuroinfiammazione, utilizzando nuove strategie (come il blocco della microglia, l’inibizione del sistema delle prochineticine o la terapia cellulare), può ridurre in modo significativo il dolore associato a condizioni come la chemioterapia (ad esempio con bortezomib e vincristina), il diabete, l’osteoartrite e, più recentemente, la malattia di Fabry.

Siamo ben consapevoli che il percorso è ancora lungo. Tuttavia, i risultati ottenuti finora ci incoraggiano a proseguire con entusiasmo. Crediamo fermamente che intervenire precocemente sulla neuroinfiammazione possa rappresentare una chiave vincente nella lotta contro il dolore cronico.

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