Mater certa… pater etiam: la depressione post-partum in entrambi i genitori

La nascita di un figlio è comunemente rappresentata come il momento più felice nella vita di una coppia: un’esplosione di gioia, un senso di completezza, il coronamento di un sogno. E in parte, lo è davvero. Ma l’idea che ci sia spazio solo per emozioni positive rischia di trasformarsi in una gabbia invisibile. “Vietato essere tristi”, sembra dirci la cultura che ci circonda. Come se il dolore, la fatica, lo smarrimento non avessero diritto di esistere, soprattutto se hai tra le braccia un neonato sano e tanto atteso.

Questo stereotipo, ancora molto diffuso, pesa in particolare su chi si trova a vivere un periodo di trasformazione profonda. Perché anche quando la genitorialità è frutto di una scelta consapevole, desiderata e accompagnata da stabilità economica e relazionale, l’arrivo di un bambino può scuotere gli equilibri più intimi della persona. Il passaggio alla genitorialità, infatti, non è solo un evento psicologico o sociale. È anche, e forse soprattutto, un’esperienza biologica. Un vero e proprio terremoto fisiologico che coinvolge cervello, ormoni e sistema immunitario. Come accade durante l’adolescenza, anche nel periodo perinatale il corpo attraversa cambiamenti profondi, spesso accompagnati da vulnerabilità emotiva, ansia e oscillazioni dell’umore. Ma a differenza dell’adolescenza, questo momento non gode della stessa tolleranza sociale: non è previsto che un genitore soffra. E se lo fa, spesso si sente solo, incompreso, persino colpevole.

La depressione post-partum è una delle conseguenze più comuni e allo stesso tempo più trascurate di questo cambiamento. Colpisce circa il 10-15% delle donne e può manifestarsi con una varietà di sintomi: umore depresso persistente, perdita di interesse o piacere per le attività quotidiane, irritabilità, insonnia o ipersonnia, alterazioni dell’appetito, difficoltà di concentrazione, senso di colpa e, nei casi più gravi, pensieri ricorrenti di morte o comportamenti autolesivi. Le sue cause sono complesse e intrecciano diversi livelli: ormonali, psicologici e ambientali.

Dopo il parto, i livelli di estrogeni e progesterone, che durante la gravidanza erano altissimi, precipitano bruscamente. Questo crollo ormonale può alterare il funzionamento di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, fondamentali per la regolazione dell’umore. Ma oggi sappiamo che non si tratta solo di ormoni. Un ruolo sempre più centrale è giocato dal sistema immunitario e, in particolare, dall’infiammazione. Durante la gravidanza, l’organismo materno si adatta per proteggere il feto e modulare la risposta immunitaria. Dopo il parto, però, si attiva una risposta infiammatoria naturale, necessaria per il recupero fisico, ma che può avere effetti collaterali sul cervello. L’aumento delle citochine infiammatorie (molecole che regolano la comunicazione tra le cellule immunitarie) può alterare la neuroplasticità, rallentare la produzione di neurotrasmettitori e generare una sensazione diffusa di fatica e malessere emotivo. In altre parole, l’infiammazione post-partum può contribuire attivamente all’insorgenza della depressione, soprattutto in soggetti predisposti. A complicare il quadro, intervengono spesso fattori sociali: l’isolamento, la mancanza di sonno, il carico mentale, le aspettative irrealistiche su come “dovrebbe” sentirsi un buon genitore. E così, quello che dovrebbe essere un periodo di felicità si trasforma in un momento di fragilità. E non riguarda solo le madri.

Anche gli uomini possono soffrire di depressione post-partum. Secondo alcune stime, circa 1 padre su 10 sviluppa sintomi depressivi nei mesi successivi alla nascita del figlio, anche se spesso in silenzio e senza ricevere aiuto. La sofferenza paterna è ancora meno riconosciuta, perché culturalmente fatichiamo ad accettare che anche i padri possano vivere la genitorialità come uno sconvolgimento emotivo. I fattori di rischio sono molteplici: la presenza di una depressione nella partner, lo stress lavorativo, la privazione di sonno, la mancanza di modelli positivi di paternità, l’isolamento sociale. Ma anche sul versante biologico qualcosa si muove. Dopo la nascita del figlio, anche nei padri si osservano cambiamenti ormonali come la diminuzione del testosterone e l’aumento del cortisolo (l’ormone dello stress).

Questi cambiamenti, se combinati a fattori di vulnerabilità preesistenti, possono contribuire allo sviluppo di una vera e propria depressione. Non si tratta, quindi, di fragilità personale o mancanza di forza di volontà. Si tratta di biologia, contesto, aspettative sociali. E soprattutto, si tratta di una condizione che merita attenzione, ascolto e trattamento. Parlarne, rompere il silenzio, riconoscere che anche la genitorialità può essere accompagnata da dolore, è il primo passo per costruire una cultura più accogliente e meno giudicante. Perché non esiste una sola narrazione della nascita, e non esiste un solo modo giusto di diventare genitori. Anche nella gioia può esserci spazio per la fatica e accettarlo è il modo più autentico per prendersi cura, non solo dei figli, ma anche di sé stessi.

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