Il glioblastoma multiforme (GBM) è il principale tipo di tumore che colpisce il sistema nervoso centrale. È noto per essere estremamente aggressivo e difficile da eliminare completamente, a causa della sua natura variabile. Questo rende molto probabile il rischio di ricadute. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno concentrato i loro sforzi su nuove tecniche per diagnosticare e migliorare la gestione clinica di questa malattia. Tra le innovazioni più promettenti si distingue l’utilizzo delle vescicole extracellulari (EVs), nanoparticelle endogene che vengono isolate dal plasma dei pazienti stessi e utilizzate per il trasporto selettivo di farmaci.
Le EVs sono nano-strutture rilasciate da tutti i tipi cellulari sia in condizioni fisiologiche sia in condizioni patologiche nei fluidi extracellulari, e agiscono come sistemi di comunicazione tra le cellule, trasportando importanti ‘messaggi’ che regolano diverse funzioni nel nostro corpo. Infatti, sono delimitate da una membrana fosfolipidica che contiene all’interno un cargo (il ‘messaggio’) costituito da biomolecole quali proteine, lipidi e acidi nucleici, che rilasciano a specifiche cellule bersaglio. Questa caratteristica rende le EVs potenziali tool diagnostici e terapeutici per diverse patologie, inclusi i tumori, poiché le EVs di origine tumorale tendono a ritornare spontaneamente al tumore che le ha originate, accumulandosi nel tempo.

Nel laboratorio di farmacologia guidato da Paolo Ciana, presso il quale svolgo il dottorato, mi occupo di studiare le vescicole extracellulari autologhe, ovvero isolate dal plasma dei pazienti, e il loro potenziale impiego nella diagnosi e nella terapia del glioblastoma. In particolare, lo scopo di questa ricerca è sfruttare le caratteristiche uniche delle EVs per migliorare la diagnosi dei tumori cerebrali. Le attuali tecniche di imaging, come la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia computerizzata (TC), hanno un limite importante: la barriera ematoencefalica. Questa barriera protegge il cervello impedendo il passaggio della maggior parte degli agenti diagnostici, rendendo difficile visualizzare il tumore – soprattutto nelle fasi precoci. Solo se la barriera è danneggiata, l’agente di contrasto può fuoriuscire dai vasi sanguigni e accumularsi nel tumore, rendendolo visibile. La ricerca punta a superare questo ostacolo sfruttando le EVs.

L’ipotesi è che le EVs originate dal GBM siano in grado, come le altre EVs di origine tumorale, di ritornare al tumore che le ha originate, che in questo caso si trova all’interno della barriera ematoencefalica. Se si inserisse all’interno del cargo di queste EVs un agente diagnostico, queste, accumulandosi all’interno della massa tumorale, permetterebbero la precisa localizzazione del tumore anche in stadi precoci della patologia, facilitando l’attività del neurochirurgo nella diagnosi precoce del glioblastoma e nella completa e selettiva asportazione della massa tumorale riducendo così il rischio di recidive nei pazienti.Partendo da questa ipotesi, abbiamo recentemente isolato le EVs dal plasma di pazienti affetti da glioblastoma, le abbiamo caricate con agenti diagnostici quali gadolinio (agente di contrasto per MRI) e ioexolo (agente di contrasto per TC), e utilizzando modelli murini di glioblastoma ortotopico, abbiamo dimostrato la loro capacità di attraversare la barriera ematoencefalica e di trasportare i diagnostici nella massa tumorale all’interno del sistema nervoso centrale.
L’obiettivo futuro è quello di identificare il meccanismo molecolare alla base della capacità delle EVs di attraversare la BEE, di raggiungere il sistema nervoso centrale, e di avere tropismo selettivo per il glioblastoma. Questa ricerca getta le basi per l’utilizzo delle vescicole isolate da paziente come mezzo di delivery di agenti diagnostici e terapeutici, comprese anche terapie innovative come i farmaci a base di RNA, diretti con precisione al tumore nei pazienti stessi, così da personalizzare la terapia implementandone efficacia e sicurezza.
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