Come già discusso in un post precedente, il diabete mellito di tipo II si associa a un aumentato rischio cardiovascolare, con quasi il doppio di probabilità di sviluppare, rispetto ai non diabetici, una condizione di insufficiente apporto di sangue e ossigeno al cuore1. Indipendentemente dalla prescrizione di farmaci ipoglicemizzanti, nei diabetici, uno dei principali obiettivi terapeutici per ridurre il rischio cardiovascolare è rappresentato dalla riduzione della colesterolemia LDL2.
In questo ambito di intervento, le statine hanno rappresentato e rappresentano a oggi il primo approccio terapeutico consigliato per i valori soglia di colesterolemia LDL nei diabetici, come suggerito dalle linee guida europee3 e americane4. Questi valori di colesterolemia LDL spesso non vengono raggiunti con la sola statina, soprattutto in presenza di alti valori basali. Inoltre, i possibili effetti “indesiderati” associati all’utilizzo delle statine, come ad esempio le mialgie, possono impedire una corretta aderenza alla terapia con conseguente non raggiungimento, nei diabetici, del valore considerato preventivo, cioè LDL < 70 mg/dL. Quindi, nei soggetti a maggior rischio, una possibile terapia alternativa potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di farmaci biotecnologici volti a migliorare il catabolismo delle lipoproteine LDL. Tra questi nuovi farmaci, sono stati recentemente resi disponibili anticorpi monoclonali in grado di ridurre la concentrazione della proteina PCSK9, che rappresenta il principale regolatore dei livelli di LDL. Ad oggi sono stati autorizzati al commercio due anticorpi anti-PCSK9, le molecole evolocumab e alirocumab.
Le indicazioni prescrittive sono ristrette ai soggetti portatori di una mutazione genetica che determina ipercolesterolemia oppure associati ad altre terapie ipolipemizzanti in pazienti intolleranti alle statine o per i quali l’uso di statine è controindicato. La somministrazione sottocute di questi farmaci riduce la colesterolemia LDL di circa il 50-60% rispetto all’inizio della terapia. Gli studi a lungo termine (oltre 2 anni) con tali molecole, come lo studio FOURIER (con evolocumab) e lo studio ODYSSEY OUTCOMES (con alirocumab) hanno evidenziato come, in soggetti ad alto rischio cardiovascolare, ci sia una riduzione del 15% nel rischio di avere un evento, ad esempio l’infarto del miocardio. In entrambe gli studi, una grande percentuale di pazienti era rappresentata da diabetici: 40% nello studio FOURIER5 e 29% nello studio ODYSSEY OUTCOMES6.
In particolare, evolocumab e alirocumab sono più efficaci nei soggetti diabetici. Nello studio FOURIER, i soggetti con diabete hanno pertanto una riduzione del rischio vascolare del 17% mentre quelli senza diabete del 13%. Da un punto di vista prettamente applicativo, questi dati ci dicono che è necessario trattare con evolocumab 37 pazienti diabetici per prevenire un evento cardiovascolare, al contrario bisogna trattarne 62 senza diabete per prevenire un evento7. Nello studio ODYSSEY OUTCOMES, il beneficio è stato del 16% nei diabetici e del 15% nei non diabetici. Questo dato diventa più importante se si calcola la riduzione assoluta del rischio tra soggetti diabetici e non, in trattamento con alirocumab: nel caso dei diabetici la riduzione assoluta del rischio è stata del 2,3% mentre nei non diabetici del 1,6%8.
Tuttavia, questi due studi hanno avuto come obiettivo principale quello di verificare la prevenzione cardiovascolare in soggetti ad alto rischio, quindi senza valutare i possibili benefici nel profilo lipoproteico dei soggetti diabetici. Questi pazienti, oltre ad avere alti livelli di colesterolemia LDL, sono portatori di quella che viene definita dislipidemia diabetica, caratterizzata da ridotto metabolismo delle lipoproteine ricche in trigliceridi, con conseguente ipertrigliceridemia.
In tale ambito, i risultati dello studio BANTING mostrano come evolocumab in pazienti con diabete di tipo II (i) riduca la colesterolemia LDL in un intervallo compreso tra il 54-65%, (ii) sia in grado di far raggiungere ai pazienti livelli soglia consigliati di colesterolemia LDL < 70 mg/dL o (iii) sia in grado di diminuire la colesterolemia LDL oltre il 50% rispetto al valore iniziale. Anche i trigliceridi hanno mostrato una riduzione del 13,7%9.
Nonostante i risultati positivi in termini di prevenzione cardiovascolare, sia in soggetti diabetici sia non diabetici, queste terapie hanno ancora un utilizzo limitato, dovuto alla scarsa sostenibilità dal punto di vista farmaco-economico: ad esempio, per rendere sostenibile l’uso diffuso di alirocumab è stato calcolato che il costo dovrebbe essere ridotto dagli attuali 14.560 a 874 dollari l’anno10.
Tre punti riassuntivi:
i) Gli inibitori di PCSK9, evolocumab e alirocumab, riducono in modo efficace il rischio cardiovascolare anche nei soggetti diabetici
ii) Nei soggetti con dislipidemia diabetica evolocumab è in grado di diminuire la colesterolemia LDL oltre il 50% rispetto al valore iniziale con una riduzione del 14% nella trigliceridemia
iii) Ad oggi gli inibitori di PCSK9 hanno una scarsa sostenibilità dal punto di vista farmaco-economico
Chiara Macchi, Alberto Corsini & Massimiliano Ruscica
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