La somministrazione di Levodopa (L-DOPA) è ancora oggi il trattamento d’elezione per il morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa estremamente comune che colpisce circa 1,2 milioni di europei. Le manifestazioni cliniche che la contraddistinguono sono conseguenza della progressiva morte dei neuroni di un’area cerebrale chiamata sostanza nera: questa regione ha la funzione di rilasciare il neurotrasmettitore dopamina in un’altra area, lo striato, deputata in particolare al controllo dei movimenti.
La L-DOPA è il precursore della dopamina, cioè una molecola che i neuroni dopaminergici utilizzano per produrre il neurotrasmettitore stesso. Sia la L-DOPA che gli altri farmaci impiegati attualmente in clinica mirano ad innalzare i livelli di dopamina nello striato, rappresentando quindi una terapia di tipo sintomatico. La loro azione infatti si limita a migliorare i sintomi del paziente senza rallentare o contrastare il peggioramento della malattia.
Ancora oggi, dopo quasi 60 anni dal suo primo impiego, la L-DOPA è considerata in clinica come il trattamento con maggiore efficacia. Purtroppo però, L-DOPA perde progressivamente efficacia e il suo uso prolungato può determinare l’insorgenza di diversi effetti collaterali, tra i quali si ritrovano le discinesie motorie. Si tratta di gravi disturbi del movimento volontario che compaiono in circa il 10% dei pazienti, in media 5 anni dopo l’inizio della terapia. Si presentano come movimenti involontari di diverso tipo, iper o ipocinetici, che coinvolgono varie parti del corpo.
La tipologia più comune viene detta “discinesia di picco”: sopraggiunge infatti quando la concentrazione di L-DOPA nel sangue è massima ed è caratterizzata da movimenti involontari rapidi e continuativi. Questi disturbi per il paziente, soprattutto nelle fasi più avanzate, diventano altamente invalidanti, talvolta peggiori dei sintomi stessi della malattia. I meccanismi patogenetici alla base delle discinesie sono molteplici e non ancora del tutto chiariti; fattori come la durata della patologia, la scelta della terapia e corredo genetico individuale concorrono a determinarne la comparsa e la gravità.
Oltre al sistema dopaminergico, un ruolo chiave è rivestito anche da alterazioni del circuito neuronale glutamatergico tra corteccia e striato, le quali si instaurano inizialmente a causa della mancanza di dopamina. I meccanismi patologici che causano il rimodellamento sinaptico del neurone corticostriatale rappresentano una delle aree di ricerca del laboratorio di Farmacologia della Neurodegenerazione, coordinato da Monica Di Luca e Fabrizio Gardoni, in cui sto svolgendo il mio dottorato.
Attualmente il nostro laboratorio è coinvolto in uno studio finanziato dal Ministero dell’Istruzione e Ricerca che coinvolge diversi centri di ricerca italiani e che ha come scopo principale quello di individuare nuovi target farmacologici per il trattamento delle discinesie indotte da L-DOPA. Attraverso un approccio multidisciplinare, il focus principale del progetto è lo studio del ruolo di due importanti proteine sinaptiche, alfa-sinucleina e LRRK2, diminuite non solo nella maggioranza delle forme di Parkinson familiare ma anche in quello sporadico.
Entrambe le proteine sono coinvolte nel rilascio di dopamina; inoltre, risultati di recenti studi suggeriscono anche un loro ruolo postsinaptico nelle alterazioni molecolari alla base dell’insorgenza delle discinesie. L’individuazione di nuove molecole e approcci terapeutici da affiancare al trattamento con L-DOPA è di fondamentale importanza per migliorare l’efficacia della terapia dei pazienti parkinsoniani e migliorare di conseguenza la loro qualità di vita.
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