Ciao a tutti, sono Jasmine Nour e frequento il terzo anno del dottorato in Scienze Farmacologiche Biomolecolari, Sperimentali e Cliniche dell’Università degli Studi di Milano. Così come ho raccontato in un post precedente, le linee di ricerca del Laboratorio di Lipoproteine, Immunità e Aterosclerosi, di cui faccio parte, hanno l’obiettivo di studiare il ruolo del sistema immunitario nello sviluppo di malattie metaboliche, tra cui l’obesità.
Secondo il report dell’OMS del 2022 l’Italia conta circa un individuo obeso ogni 5, che evidenzia come l’obesità sia una condizione purtroppo ampiamente diffusa, per cui è necessario comprenderne sviluppo e conseguenze.
L’obesità è strettamente legata a uno stile di vita caratterizzato da sedentarietà ed eccessiva alimentazione, che si presenta spesso sbilanciata a favore di carboidrati raffinati e grassi saturi. Queste condizioni possono portare in primis a un accumulo progressivo di tessuto adiposo, e in secondo luogo allo sviluppo di una vera e propria disfunzione metabolica sistemica associata a una serie di comorbidità. Tra queste è importante ricordare l’insulino-resistenza che può sfociare in diabete di tipo II, nonché le malattie cardiovascolari, che rientrano tra le principali cause di morte a livello globale.
In parallelo alla disfunzione metabolica si osserva anche una condizione di infiammazione cronica di basso grado, che coinvolge il sistema immunitario in diversi distretti, caratterizzata dall’attivazione della risposta immunitaria anche nel tessuto adiposo stesso. Infatti, fisiologicamente nel tessuto adiposo sono presenti delle cellule immunitarie sentinella, prevalentemente macrofagi, che mantengono l’omeostasi; tuttavia, l’accumulo di grassi a livello degli adipociti causa la loro attivazione verso un fenotipo infiammatorio, contribuendo in questo modo al peggioramento dello stato dell’organismo. Non solo, anche in circolo possiamo osservare uno squilibrio a favore di cellule immunitarie dell’immunità innata a carattere infiammatorio, dovuto a una diversa proliferazione dei precursori presenti nel midollo osseo che risentono delle condizioni sistemiche.
Uno dei marker per eccellenza dei macrofagi sentinella è il recettore del mannosio, o CD206, il cui ruolo è stato storicamente associato alla risoluzione della risposta infiammatoria. Esso è in realtà espresso da diversi tipi cellulari in diversi tessuti e può essere trovato anche in forma solubile nel plasma, dove riconosce e favorisce l’eliminazione dall’organismo di molte molecole, come proteine rilasciate in condizioni di infiammazione.
Nonostante sia considerato tutt’ora marcatore di cellule ad attività protettiva, alcune evidenze cliniche e sperimentali hanno messo in dubbio queste credenze, mostrando come il recettore del mannosio possa essere invece associato a situazioni patologiche. Un esempio riguarda i suoi livelli circolanti, che aumentano significativamente in condizioni di disfunzione epatica in modo direttamente proporzionale alla gravità, motivo per il quale la concentrazione circolante di CD206 viene considerata un marcatore prognostico del danno epatico. In parallelo, studi sperimentali mirati a studiare il ruolo di macrofagi esprimenti CD206 nel tessuto adiposo in condizioni di obesità, hanno mostrato come la loro ablazione specifica porti beneficio in pochi giorni.
In questo frangente, parte del mio progetto di dottorato si è concentrato sullo studio del ruolo del recettore del mannosio nello sviluppo e nella progressione dell’obesità. Gli esperimenti finora condotti suggeriscono che la mancata espressione del recettore del mannosio porti non solo a una ridotta infiammazione del tessuto adiposo, ma anche a una riduzione di cellule infiammatorie in circolo, probabilmente dovuta ad una ridotta proliferazione di precursori dell’immunità innata nel midollo osseo. Questo fenotipo protettivo si associa anche a una migliore condizione metabolica sistemica con ridotto guadagno di peso, ridotto accumulo lipidico nel fegato e migliore risposta a glucosio e insulina. Il recettore del mannosio sembra quindi svolgere un ruolo attivo nell’infiammazione associata all’obesità e di conseguenza sullo sviluppo stesso di questa condizione.
Con questo studio, inoltre, confermiamo ulteriormente quanto sia necessario andare a studiare la connessione presente tra malattia metabolica e infiammazione, specialmente in un contesto in cui la prevalenza di obesità a livello globale è in crescita e l’infiammazione di basso grado associata contribuisce allo sviluppo di comorbidità severe.
Lascia un commento