La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa progressiva e irreversibile caratterizzata da un’iniziale perdita di memoria degli eventi recenti, alla quale si aggiungono disturbi nell’articolazione del linguaggio, nella capacità di eseguire calcoli, nella coordinazione dei movimenti del corpo, nell’orientamento e nella capacità di giudizio. È quindi chiaro che questa patologia diventa nel tempo invalidante, impedendo al malato di svolgere le normali attività quotidiane, e portandolo a isolarsi dalla società.
I tentativi di descrivere la patogenesi della malattia di Alzheimer sono stati caratterizzati da pochi progressi fino all’avvento della microscopia elettronica, che ha permesso di individuare e descrivere le due lesioni cardine della patologia: le placche senili e i grovigli neurofibrillari. Le placche senili sono depositi extracellulari di un piccolo peptide chiamato β amiloide e di detriti di cellule neuronali, mentre i grovigli neurofibrillari sono aggregati di proteina tau iperfosforilata, localizzati nel citoplasma dei neuroni.
Sono state formulate diverse teorie relative alla cascata di eventi che determina lo sviluppo di questa malattia e quella più accreditata risulta essere l’ipotesi dell’amiloide, formalizzata nel 1992 da Hardy e Higgins. L’ipotesi dell’amiloide sostiene che l’aumento di livelli di β amiloide e la sua aggregazione nel cervello sono fattori scatenanti la malattia di Alzheimer. E’ stato osservato che l’aggregazione di di β amiloide, prima in piccoli aggregati (chiamati oligomeri di β amiloide) e poi in placche senili, causa la formazione di grovigli neurofibrillari intracellulari di proteina tau iperfosforilata e determina, infine, la morte neuronale. Negli ultimi anni, è emerso che i deficit cognitivi dei pazienti sono causati dall’azione “tossica” degli oligomeri di β amiloide a livello delle sinapsi.
Le sinapsi sono i punti di contatto tra i neuroni attraverso cui viene trasmessa l’informazione. Tuttavia, le sinapsi non sono entità statiche ma altamente dinamiche. Infatti, una delle proprietà più importanti e affascinanti del cervello dei mammiferi è la plasticità sinaptica, che consiste nella capacità dei neuroni e dei circuiti neurali di modificare le proprie connessioni in risposta a nuove informazioni, stimoli o danni. In particolare, la plasticità sinaptica consente di modificare la forza di trasmissione delle sinapsi, di instaurarne di nuove o di eliminarne alcune in risposta a esperienze ricorrenti o al cambiamento di stimoli esterni. Questo meccanismo ha un ruolo fondamentale nell’immagazzinamento di informazioni che derivano da esperienze transitorie in persistenti tracce di memoria, rappresentando quindi il meccanismo alla base dei processi di apprendimento e memoria. Considerando il ruolo delle sinapsi in questi processi, è chiaro che alterazioni della loro funzionalità, causate dagli oligomeri di β amiloide, determinino i deficit cognitivi osservati nei pazienti Alzheimer nelle fasi iniziali della patologia. Nonostante questi progressi nella ricerca, i meccanismi molecolari innescati dagli oligomeri di β amiloide a livello delle sinapsi non sono ancora del tutto chiari.
Nel laboratorio di Farmacologia della Neurodegenerazione, coordinato da Monica Di Luca e Fabrizio Gardoni, dove sto svolgendo il mio progetto di dottorato, abbiamo deciso di studiare uno specifico meccanismo cellulare implicato nei processi di plasticità sinaptica e alterato nei pazienti Alzheimer.
Il mio progetto di ricerca è focalizzato su una proteina chiamata CAP2, che è in grado di controllare le dinamiche del citoscheletro di actina. Il citoscheletro di actina consiste in una rete di filamenti ramificati di diversa lunghezza e svolge un ruolo di stabilizzazione strutturale delle sinapsi. L’actina polimerizza e forma dei filamenti che sono strutture altamente dinamiche in grado di modificare in maniera continua la loro lunghezza e ramificazione, in risposta ai diversi stimoli ricevuti. Questo è un meccanismo di fondamentale importanza per la modulazione della morfologia, e quindi funzionalità, delle sinapsi in risposta agli stimoli. Per questo motivo il citoscheletro di actina svolge un ruolo essenziale nella modulazione delle funzioni cognitive, tra cui l’apprendimento e la memoria. Infatti, alterazioni del citoscheletro sono state osservate in diverse patologie, caratterizzate da deficit della funzionalità delle sinapsi, inclusa la malattia di Alzheimer.
CAP2 è una proteina che lega l’actina e controlla i processi di formazione dei filamenti. E’ localizzata nelle sinapsi e nelle cellule neuronali ha un ruolo fondamentale sia nel mantenimento della struttura cellulare che della funzionalità sinaptica. È stata misurata una riduzione significativa dei livelli di CAP2 nel cervello dei pazienti Alzheimer, in particolare nell’ippocampo che è un’area cerebrale colpita nelle fasi iniziali della patologia.
Alla luce di questi dati, sto studiando come gli oligomeri di β amiloide modificano la funzionalità di CAP2 a livello delle sinapsi per identificare i meccanismi cellulari che portano alla disfunzione sinaptica. Inoltre, sto verificando se CAP2 contribuisce alla formazione di aggregati di actina che si osservano nei neuroni in seguito a esposizione di oligomeri di β amiloide e come questo processo determini la perdita di sinapsi. Infatti, ho osservato che se si aumentano i livelli di CAP2 nei neuroni si previene la perdita di sinapsi e formazione di aggregati di actina indotta da oligomeri di β amiloide. Queste osservazioni inseriscono CAP2 all’interno di quei meccanismi neuronali mediante cui gli oligomeri di β amiloide interferiscono con i processi di apprendimento e di memoria e, quindi, la rendono un potenziale target per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per la malattia di Alzheimer.
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