Il tumore prostatico rappresenta a oggi, nei paesi occidentali, la seconda causa di morte per tumore nei soggetti di sesso maschile. La prostata è una ghiandola delle dimensioni di una noce, che con il passare degli anni può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario (ipertrofia). Questa ghiandola è sensibile all’azione degli ormoni, in particolare all’ormone maschile per eccellenza, il testosterone, che ne influenza la crescita.
Il tumore prostatico è caratterizzato da cellule che crescono in modo incontrollato all’interno della ghiandola prostatica e gli approcci terapeutici, quali la radioterapia, l’intervento di asportazione della prostata, l’ormonoterapia o la chemioterapia, dipendono da fattori legati alla stadiazione della malattia (estensione del tumore, sua eventuale diffusione), all’età del paziente e al suo stato di salute generale.
Tuttavia, il tumore prostatico può evolvere da una forma che risponde alla terapia di deprivazione ormonale ad una più aggressiva, nella quale le cellule tumorali acquisiscono la capacità di crescere indipendentemente dalla presenza degli androgeni. Ad oggi, le opzioni farmacologiche/terapeutiche per la forma più aggressiva, cioè quella refrattaria alla terapia di deprivazione ormonale, sono limitate e questo sottotipo di malattia è associato a una prognosi non favorevole.
Al fine di identificare nuovi approcci terapeutici, è necessario, quindi, comprendere quali fattori siano in grado di favorire la crescita delle cellule tumorali. L’ambiente infiammatorio sembra essere un importante mediatore della crescita tumorale. Basandoci su questo concetto e sul presupposto che le cellule tumorali presentano una maggiore concentrazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) rispetto alle cellule non tumorali, da un’idea di Monica Gomaraschi del Centro Grossi Paoletti del nostro dipartimento e in collaborazione con Massimiliano Ruscica, è stato dimostrato come le lipoproteine ad alta densità (HDL), in grado di ridurre i livelli di ROS, siano in grado di rallentare la crescita delle cellule tumorali prostatiche, proprio attraverso questo meccanismo protettivo.
Le HDL, da sempre conosciute come colesterolo buono, sono state utilizzate come strumento per ridurre lo stress ossidativo, poiché il loro ruolo protettivo nello sviluppo dell’aterosclerosi è dovuto anche alla loro azione antiossidante. Infatti, le HDL sono in grado di associarsi a enzimi antiossidanti, come la paraoxonasi, e inoltre possono legare alcune classi di molecole ossidate e trasportarle al fegato per l’eliminazione. Queste lipoproteine partecipano direttamente alla riduzione delle specie ossidate, grazie a reazioni di ossido-riduzione della loro componente proteica, le apolipoproteine A-I e A-II.
L’azione antiossidante delle HDL nella patologia tumorale prostatica potrebbe essere utile per diminuire gli stimoli proliferativi presenti nel microambiente tumorale, favorendo così l’azione delle classiche terapie farmacologiche antitumorali.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29396407
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