Mi chiamo Margherita Botta e mi sono laureata in Biotecnologie Mediche e Farmaceutiche all’Università del Piemonte Orientale di Novara, dopo un anno di borsa di studio Giovani promettenti presso la Statale di Milano ho iniziato il mio percorso di dottorato in Scienze Farmacologiche Sperimentali e Cliniche.
Il primo anno di dottorato l’ho svolto presso il gruppo di Alberto Corsini in collaborazione con Massimiliano Ruscica, che si occupa dello studio dei meccanismi molecolari alla base della sindrome metabolica. Il mio progetto di dottorato riguarda infatti lo studio di un possibile collegamento tra adipochine e la proteina PCSK9 (proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9), la cui over-espressione è associata a una condizione di ipercolesterolemia.
A gennaio ho lasciato l’Italia e mi sono spostata in Svezia, più precisamente a Göteborg, presso il laboratorio di Romeo al Wallenberg Laboratory del Sahlgrenska Hospital per imparare nuove tecniche e ampliare le mie conoscenze di genetica molecolare applicata allo studio della sindrome metabolica.
Qui a Göteborg, oltre a studiare alcuni aspetti del mio progetto di dottorato, mi sono occupata dello studio di alcune mutazioni nel gene della lipoproteina lipasi (LPL).
Il gene LPL codifica per la proteina LPL che svolge un ruolo chiave per il catabolismo dei trigliceridi presenti nei chilomicroni e nelle VLDL. Attualmente, a carico del gene LPL, sono state scoperte e caratterizzate circa duecento mutazioni che possono interferire con il corretto funzionamento della proteina. Tra queste vi sono mutazioni che interferiscono con l’attività idrolasica della proteina e che determinano l’isorgenza di iperlipoproteinemia di tipo I, caratterizzata da un’errata idrolisi dei trigliceridi con conseguente accumulo di chilomicroni ed elevati livelli plasmatici di trigliceridi. I sintomi si riflettono in dolore addominale, epatosplenomegalia, sindrome da iperviscosità, xantomi e nel 30% dei casi pancreatite acuta. Purtroppo i farmaci come niacina e fibrati non sono sufficienti ad abbassare i livelli di trigliceridi di questi pazienti la cui gestione clinica è molto gravosa e prevede principalmente una dieta a basso contenuto di grassi, spesso poco seguita. Nell’ottica dello sviluppo di nuovi farmaci per il trattamento di questa patologia è quindi molto importante identificare e caratterizzare mutazioni ricorrenti nella popolazione.
Vorrei terminare il mio post con due parole sulla mia esperienza all’estero.
Lasciare l’Italia non è stato semplice; all’inizio ho dovuto ambientarmi in un nuovo laboratorio e iniziare un nuovo progetto imparando nuove metodologie da zero, ma devo dire che finora è stata un’esperienza davvero positiva. Se, come ha scritto Nathalie qualche giorno fa, il dottorato non è solo un lavoro ma è un’occasione di crescita professionale e personale, svolgerne una parte all’estero lo è ancora di più. E se a dirvelo sono io, che all’estero non volevo proprio andarci, dovete credermi! Andare all’estero vi costringe a confrontarvi con mentalità diverse, modi diversi di lavorare e di pensare, vi permette di migliorare l’inglese e di sentirvi più sicuri quando esponete i vostri dati. Pensate davvero al dottorato come a un investimento e fate tutte le esperienze possibili per arricchirvi sia professionalmente che personalmente.
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