Il lato oscuro del piacere

Adele di Genova, Alessandro di Città della Pieve, Arianna di Vittorio Veneto, Giulia di Roma sono solo alcuni dei giovanissimi saliti agli onori della cronaca nera, che dopo aver assunto droghe non ce l’hanno fatta. A partire dal 2016, in Italia si torna a morire di overdose più che in passato. 

La Relazione annuale al parlamento del dipartimento politiche antidroga 2018 riporta che un terzo della popolazione italiana fra i 15 ed i 64 anni ha sperimentato sostanze psicoattive illegali almeno una volta nel corso della propria vita e uno su dieci (circa 4 milioni) lo ha fatto nel corso del 2017. Il 34% degli studenti italiani (circa 880.000) ha provato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita e il 26% lo ha fatto nel corso del 2017 (http://www.politicheantidroga.gov.it/media/2445/339911.pdf). Sui giornali si legge che la maggior parte di questi adolescenti e dei ragazzi schiacciati dalla dipendenza erano bravi ragazzi, con buoni voti a scuola, felici … all’apparenza. 

Ma, quindi, cosa spinge un adolescente a farsi? 

I motivi possono essere molteplici: la ricerca di nuove esperienze, di sentirsi parte di un gruppo, la voglia di libertà e di evadere dalla realtà, la solitudine e la fatica della vita. Questi sono solo alcuni degli scenari che portano alla ricerca del piacere nell’uso delle droghe, ma questo intenso piacere nasconde un subdolo inganno: dopo averlo provato una, due, tre volte non ne puoi più fare a meno.

Cosa scatta nel cervello di queste persone? Quale interruttore, se premuto, porta alla transizione da un uso sociale, controllato della droga ad un uso compulsivo, alla dipendenza? 

È molto difficile rispondere a questa domanda. Dal punto di vista neurobiologico, la dopamina (neurotrasmettitore del piacere, di cui vi ho parlato in un post precedente) è solo parte della storia: diversi sono i sistemi neurotrasmettitoriali, i messaggeri presenti nel nostro cervello, che vengono modificati dall’uso di sostanze stupefacenti. Recenti studi, condotti anche nel nostro laboratorio, mostrano come già in seguito alla prima assunzione di droga è possibile osservare delle profonde alterazioni dell’omeostasi (situazione di equilibrio) cerebrale, in modo particolare se l’assunzione avviene durante l’adolescenza, fase dello sviluppo in cui il cervello è altamente vulnerabile. Queste alterazioni, che diventano persistenti con l’uso ripetuto delle sostanze, sono alla base degli effetti comportamentali delle droghe che colpiscono e distruggono la sfera psichica, cognitiva e, a lungo andare, anche quella fisica del soggetto. Chi era alla ricerca della libertà, dell’evasione dalla realtà viene invece imprigionato nella morsa della dipendenza. La condizione patologica della dipendenza, dal punto di vista neurobiologico, si manifesta come un’usurpazione dei meccanismi neuronali dell’apprendimento e della memoria che, in circostanze normali, servono a modellare i comportamenti di sopravvivenza finalizzati al raggiungimento di stimoli gratificanti e alla soddisfazione che da essi ne deriva. La complessità del quadro patologico, dovuta a profonde e persistenti alterazioni strutturali e molecolari a carico del sistema nervoso centrale, può essere paragonata ad un’orchestra. Se durante un concerto gli strumenti non suonano seguendo lo spartito e le note non sono eseguite a tempo, la musica non è più armoniosa e piacevole ma diventa fastidioso rumore, stridio di suoni, così se la comunicazione fra sinapsi non è più efficiente e i sistemi neurotrasmettitoriali sono alterati il soggetto non è più in grado di sospendere il comportamento di abuso nonostante le conseguenze negative per la vita della persona stessa.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la droga è sempre di più alla portata di tutti: costa sempre meno ed è facilmente acquistabile su internet. Le nuove sostanze psicoattive, il cui consumo cresce fra i giovanissimi, vengono vendute come un insieme di diverse molecole, fra queste le maggiormente diffuse appartengono alle classi dei cannabinoidi sintetici, conosciuti in gergo con il nome di spice, catinoni sintetici e fenetilamine. Purtroppo, la scarsa conoscenza farmacologica e tossicologica di queste molecole e la rapidità con cui vengono immesse sul mercato nuove droghe ne rende difficilmente riconoscibili gli effetti, dal punto di vista clinico, in fase di intossicazione acuta e cronica.

In questo ambito, uno degli obiettivi della ricerca che conduciamo in laboratorio è quello di individuare precocemente l’esistenza di fattori di vulnerabilità e di individuare marcatori che possano essere utilizzati come bersagli di nuovi farmaci allo scopo di cercare di evitare che l’uso abituale diventi dipendenza patologica. In particolare, focalizzando la nostra attenzione sugli effetti indotti a livello cerebrale dall’uso iniziale e occasionale di cocaina, fase in cui non si è ancora sviluppata la dipendenza, abbiamo osservato alterazioni della plasticità neuronale e i riarrangiamenti strutturali in corteccia prefrontale, area cerebrale deputata al controllo delle funzioni esecutive, modifiche che pongono le basi per la ricaduta nella ricerca della sostanza ed il successivo sviluppo di dipendenza.


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