Il mondo vegetale e quello animale possiedono meccanismi biochimici analoghi per la regolazione e la trascrizione delle informazioni indispensabili alle diverse funzioni vitali. Simile è sicuramente il patrimonio di “materie prime” che permette di fare tutte le biosintesi necessarie alla vita: carboidrati, proteine e lipidi. Esiste una prima differenza sostanziale tra i due Regni: le piante sono in grado di produrre autonomamente queste sostanze, a partire dalla fotosintesi con cui producono carboidrati, gli animali no, e devono assumerle con il cibo.
Negli animali e nell’uomo le principali funzioni di biosintesi sono indirizzate alla crescita e alla riproduzione, ma nel mondo vegetale troviamo un’ulteriore differenza, che è l’immobilità. L’ecologia delle piante si differenzia infatti da quella degli animali proprio per il fatto che queste non si muovono, sono ancorate al terreno e di conseguenza devono comunicare, riprodursi o difendersi dai predatori con strategie diverse da quelle dinamiche o cinetiche, peculiari invece negli animali e nell’uomo. Per mettere in atto queste strategie le piante utilizzano perciò la chimica.
Tutti gli organismi viventi che possiedono un metabolismo primario non hanno comunque reazioni chimiche efficienti al 100% e di conseguenza avviene la produzione di prodotti di scarto. Uomo e animali possono espellere questi rifiuti organici attraverso l’urina, il sudore, gli escrementi. Le piante non hanno questa possibilità e hanno perciò affinato quello che viene definito “metabolismo secondario”, il processo che permette di trasformare e utilizzare questi “rifiuti” per svolgere funzioni vitali, ma anche per motivi che restano ancora sconosciuti. I vegetali, infatti, sono capaci di sintetizzare una grande varietà di composti chimici, alcuni semplici, altri invece molto complessi. La loro funzione ha un’elevata importanza ecologica e riguarda tutti gli aspetti delle interazioni tra le piante e l’ambiente che le circonda, come per esempio attrarre animali per la dispersione dei semi o insetti per favorire l’impollinazione; la difesa contro predatori o patogeni; diminuire la competizione con altre piante.
La biosintesi dei metaboliti secondari avviene attraverso vie metaboliche che utilizzano prodotti intermedi del metabolismo primario e richiede un elevato dispendio di energia da parte della pianta. Proprio perché la loro produzione è così impegnativa, spesso queste sostanze non assolvono a una sola funzione: per esempio un olio essenziale può essere un attrattore di insetti pronubi, ma allo stesso tempo ha anche un’azione antibatterica e antivirale. La pianta ottimizza così le risorse a sua disposizione, utilizzandole per assolvere più funzioni.
Tanto più è complessa la via metabolica per la biosintesi della molecola tanto più è possibile trovare un composto esclusivamente in poche specie tassonomicamente imparentate, come per esempio le piretrine prodotte da Tanacetum cinerariifolium; il partenolide nel Partenio (Tanacetum parthenium); la piperina nelle piante del genere Piper (Piper nigrum, Piper longum), sostanza che aumenta la biodiponibilità di principi attivi come la curcumina contenuta in Curcuma longa; gli idrochinoni, tipici della famiglia delle Ericaceae (Arctostaphylos uva-ursi, Calluna vulgaris).
E l’uomo, come pure gli animali, nel corso di millenni di evoluzione, ha capito che queste sostanze utilizzate dalle piante per interagire con l’ambiente hanno un’attività benefica e ha imparato a sfruttarle per curarsi e mantenere la sua salute.
L’insieme delle sostanze derivate dal metabolismo primario e da quello secondario di una pianta, principi attivi e “sostanze inerti”, costituiscono infatti quello che definiamo fitocomplesso, un’entità biochimica complessa e polimorfa che rappresenta l’unità farmacologica integrale di una pianta medicinale. Nel fitocomplesso si sviluppano interazioni tra queste molecole, sinergie e antagonismi, che ne determinano l’attività biologica, la quale è differente da quella del singolo principio attivo isolato: possiamo avere un miglioramento della biodisponibilità, perché composti secondari presenti nel fitocomplesso, come per esempio le saponine in un infuso, influendo sulla tensione superficiale dell’acqua, determinano la solubilità di altre sostanze altrimenti insolubili. Anche la tollerabilità di un fitocomplesso è generalmente superiore a quella del corrispondente principio attivo puro: per esempio i glucosidi salicilici presenti in Salix alba hanno una ridotta lesività sulla mucosa gastrica rispetto ai salicilati di sintesi.
La peculiarità del fitocomplesso rispetto al composto isolato e purificato è, pertanto, proprio nel “gioco di squadra” attuato dalle diverse molecole che esso contiene. La conoscenza delle proprietà biologiche e delle possibili interazioni del fitocomplesso di una pianta e dei suoi estratti è il primo tassello dello sviluppo di un prodotto naturale, che sia un medicinale vegetale o un integratore alimentare.
Il Corso di perfezionamento in “Proprietà salutistiche dei prodotti naturali” dell’Università degli Studi di Milano, coordinato da Mario Dell’Agli, ha lo scopo di fornire una preparazione professionale nel settore dell’utilizzo e della produzione delle piante officinali, medicinali e dei prodotti di origine naturale a scopo salutistico e terapeutico, con un coinvolgimento delle aziende del settore, in modo da approfondire anche le metodologie di trasformazione delle materie prime vegetali in prodotti salutistici.
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