Per millenni le piante medicinali sono state una grande risorsa di agenti terapeutici ed ancora oggi molti farmaci derivano da prodotti di origine vegetale. La disciplina che si occupa dello studio delle droghe vegetali e delle loro proprietà biologiche si chiama farmacognosia, il termine deriva dal greco φάρμακον = farmaco/veleno e γνῶσις = conoscenza.
Questa disciplina si avvale di diverse competenze tra le quali l’etnobotanica, la fitochimica, la biologia vegetale, la biochimica e la farmacologia. In farmacognosia, si chiama droga la parte della pianta che contiene, assieme ad altri componenti inattivi o di scarso interesse farmacologico, una o più sostanze farmacologicamente attive dette principi attivi.
In passato le piante medicinali venivano utilizzate a scopo terapeutico sulla base dell’esperienza, senza conoscere i loro principi attivi o i meccanismi molecolari alla base delle loro attività farmacologiche. Durante il XIX secolo sono stati scoperti e isolati i primi costituenti attivi da fonti naturali (come ad esempio la morfina, la stricnina, l’atropina, la chinina e la cocaina). Prima della seconda guerra mondiale le farmacie vendevano prevalentemente droghe sotto forma di tinture o sciroppi preparati localmente, ma con l’avvento dell’industria farmaceutica questi prodotti sono stati sostituiti da principi attivi puri, isolati o sintetizzati a partire da molecole ottenute dalle piante.
Uno dei vantaggi portati dall’industria farmaceutica è sicuramente stata la maggiore riproducibilità dell’azione dei farmaci dovuta ad un più preciso dosaggio dei principi attivi. Nonostante i numerosi vantaggi in tempi recenti si è assistito tuttavia ad una crescente tendenza a riconsiderare le droghe vegetali e le loro preparazioni. Questo fatto è il risultato di un insieme di fattori: in parte è stato causato dall’errata convinzione di alcune persone che tutto ciò che è naturale faccia bene, dovuto probabilmente alla percezione di un’iper-industrializzazione, ma è anche mosso dall’evidenza che i farmaci tradizionali non sempre riescono a curare tutte le patologie, specie quelle croniche. La presenza di effetti collaterali, comuni ad ogni trattamento sia fitoterapico che convenzionale, e la sempre maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione, hanno risvegliato l’interesse del consumatore verso i prodotti di origine vegetale, considerati generalmente più sicuri.
Compito della farmacognosia è proprio quello di dare basi scientifiche solide per giustificare l’utilizzo di questi prodotti. È importante sottolineare che il farmaco fitoterapico può essere visto come terapia in sostituzione al farmaco tradizionale solo se sussistono prove scientifiche di efficacia, come per ogni altro approccio farmacologico.
Nonostante ci siano grandi potenzialità d’uso, esistono anche diversi limiti, che attualmente complicano la ricerca e l’applicazione di questi prodotti. Le droghe vegetali non sono tutte innocue, alcune possono provocare effetti collaterali di una certa gravità a seconda della dose e del periodo di utilizzo. Gli estratti sono costituiti da miscele estremamente complesse di diverse molecole e questo, in molti casi, favorisce le attività biologiche di interesse, ma rende più difficile la comprensione dei meccanismi molecolari alla base di un trattamento.
Se la ricerca scientifica iniziale necessita comunque di piccole quantità di materie prime, le caratterizzazioni delle attività farmacologiche richiedono grandi quantità di prodotto, che si accrescono notevolmente nel caso di produzione industriale. Quando una pianta (o uno dei suoi costituenti) viene commercializzata come farmaco, la sua popolazione può essere minacciata da una raccolta estensiva; famoso è il caso del tasso (Taxus brevifolia L.), dalla cui corteccia viene estratto un noto farmaco antitumorale, il tassolo, la cui concentrazione nella pianta è estremamente bassa. Inoltre, l’accessibilità di una pianta può essere limitata da ragioni ecologiche, difficoltà di coltivazione o controllata da leggi nei rispettivi paesi d’origine.
In ultimo, ma non per importanza, c’è il problema della qualità. In primo luogo è necessario che le piante vengano riconosciute ed identificate da persone esperte; il nome botanico della pianta, così come la parte utilizzata, sono informazioni che devono essere sempre registrate e catalogate in maniera appropriata. I costituenti di una pianta (in particolare i principi attivi) variano a seconda della specie ma anche con il tempo di raccolta, la composizione del suolo, le condizioni climatiche, le procedure di preparazione e le condizioni di immagazzinamento. Verificare la qualità, però, significa anche controllare l’assenza di contaminanti, quali pesticidi, metalli pesanti, batteri e micotossine.
Tutti questi aspetti sono fondamentali e devono essere sempre presi in considerazione per una corretta valutazione farmacologica.
La natura rimane ancora oggi una risorsa fondamentale per la ricerca di nuovi farmaci; alla farmacognosia spetta questo difficile compito, ma è altrettanto importante che il consumatore sia in grado di identificare i prodotti di qualità, valutando i rischi e facendo un uso consapevole dei prodotti vegetali, grazie anche all’aiuto del proprio farmacista.
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