Il concetto di stress è ampiamente utilizzato al giorno d’oggi. Quante volte ne abbiamo sentito parlare? Di base, l’uso che si fa di questo termine è molto generico: viene, infatti, normalmente utilizzato per riferirsi a situazioni che generano, in chi le vive, un certo livello di disagio e preoccupazione.
Originariamente il termine stress risale al mondo della fisica e della siderurgia, dove veniva utilizzato per definire gli effetti osservati sui materiali a seguito dell’applicazione di elevate pressioni.
La definizione di stress in ambito biologico risale, invece, al 1932, quando il fisiologo Cannon lo definì come la reazione fisiologica che si innesca nell’organismo in presenza di una situazione di emergenza. Ma fu solo Seyle che, nel 1936, arrivò a definire lo stress come la risposta innescata dall’organismo a seguito dell’esposizione a una situazione esterna tale da alterare il fisiologico equilibrio esistente tra l’organismo e l’ambiente circostante. Rispetto alla precedente definizione di Cannon, Seyle introduce il concetto che lo stress non sia di per sé un fenomeno patologico o negativo, ma semplicemente la risposta adattativa operata dall’organismo per cercare di ripristinare l’omeostasi persa a seguito dell’esposizione.
Gli eventi stressanti, definiti stressors, in grado di indurre una risposta da parte dell’organismo possono essere di diversa natura. Possono, infatti, essere definiti sia come stressors positivi qualora inducano un miglioramento delle performance, sia negativi se si instaurano ad esempio in seguito a una esposizione a situazioni minacciose per la vita o la salute. Ancora, possono essere acuti o cronici: acuti se l’evento stressante ha un’insorgenza rapida tale da provocare una risposta immediata in grado di far fronte alla situazione avversa nel modo più adeguato e veloce possibile; cronici qualora, invece, l’esposizone risulti prolungata e ripetuta nel tempo.
A prescindere dalla tipologia di stress, di grande importanza è il modo in cui le situazioni stressanti vengono percepite dai singoli organismi. Come già accennato nel mio precedente post, esistono infatti degli individui, definiti come resilienti, che sviluppano la capacità di adattarsi alle situazioni stressanti sperimentate tramite l’attuazione di diverse strategie protettive, mentre ve ne sono altri, classificati come vulnerabili che non sono in grado di sviluppare capacità adattative e che, quindi, sono maggiormente a rischio di sviluppare condizioni patologiche.
Gli individui possono andare incontro a situazioni stressanti in qualsiasi momento della loro vita. Nel nostro laboratorio, però, siamo particolarmente interessati agli effetti dell’esposizione a stress nelle prime fasi della vita e in, particolare, durante la gravidanza. Questa fase della vita risulta essere di estrema criticità in quanto il cervello del feto è ancora altamente plastico e in via di sviluppo e, di conseguenza, l’esposizione della madre a eventi stressanti può influenzare in questa fase il corretto neurosviluppo, determinando così anomalie funzionali in alcune aree cerebrali, a loro volta associate a un aumentato rischio di contrarre patologie psichiatriche e stress-correlate successivamente nel corso della vita, meccanismo noto come early-life-programming.
Nonostante evidenze di letteratura dimostrino come l’esposizione a stress in utero induca nei bambini alterazioni dello sviluppo cognitivo, non è tuttora chiaro il meccanismo mediante il quale lo stress agisca. Un possibile meccanismo in grado di spiegare l’associazione tra stress prenatale e l’aumentato rischio di sviluppare patologie in età adulta potrebbe essere l’over-esposizione del feto ai glucocorticoidi, ormoni steroidei prodotti principalmente dalle ghiandole surrenali e mediatori chiave della risposta allo stress che risultano essere di estrema importanza anche durante lo sviluppo del feto, in quanto coinvolti nella maturazione di tessuti e organi e nella promozione della differenziazione cellulare.
In una condizione fisiologica, durante la gravidanza i livelli di glucocorticoidi circolanti nella madre sono ben più alti di quelli presenti nella circolazione fetale grazie all’azione protettiva svolta dalla placenta, la quale produce l’enzima 11β-idrossisteroide deidrogenasi (11β-HSD2) in grado di convertire la forma attiva dei glucocorticoidi, e in particolare del cortisolo (l’ormone dello stress), nella corrispondente forma inattiva, il cortisone, così da prevenire una prematura e inappropriata azione dei glucocorticoidi sui tessuti fetali in via di sviluppo. In condizioni di stress prenatale, questo meccanismo protettivo non funziona in modo ottimale determinando un aumentato passaggio transplacentare della forma attiva dei glucocorticoidi e, conseguentemente, alterazioni della crescita fetale. Inoltre, siccome nel feto i recettori dei glucocorticoidi (GR) sono espressi in molti tessuti, l’aumentato livello dei glucocorticoidi a livello placentare può indurre una generale alterazione dell’espressione dei GR e della funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che permane poi anche dopo la nascita del feto.
Di particolare interesse è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, un meccanismo neuroendocrino che, attraverso una serie di reazione/effetti a cascata che coinvolgono numerosi processi fisiologici, media la risposta dell’organismo a eventi stressanti, per garantire una risposta comportamentale appropriata allo stimolo. Lo sviluppo dell’asse stesso e degli organi direttamente coinvolti nella sua regolazione inizia già nel periodo prenatale e prosegue poi fino all’adolescenza. Da ciò si deduce, come l’esposizione materna a stress durante la gestazione possa determinare drastiche e numerose conseguenze sulla funzionalità dell’asse stesso, andando ad influenzare sia la sua attività basale sia quella indotta da stress, e aumentare così il rischio di sviluppare patologie stress-correlate in età adulta.
Come si intuisce dal nome stesso dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, da un punto di vista anatomico esso risulta composto dall’ipotalamo, dall’ipofisi e delle ghiandole surrenali. Nello specifico, tra i vari nuclei che compongono l’ipotalamo, risulta essere strettamente coinvolto nella risposta allo stress il nucleo paraventricolare (PVN). I neuroni parvocellulari, ovvero una delle due tipologie neuronali che caratterizzano il PVN, a seguito della loro attivazione favoriscono, infatti, il rilascio dell’ormone di rilascio della corticotropina che, una volta raggiunta l’ipofisi determina l’attivazione dell’asse ipotalmo-ipofisi-surrene.
Alla luce di queste considerazioni, l’obiettivo principale del mio progetto di dottorato è quello di indagare i meccanismi che stanno alla base della stretta correlazione esistente tra l’esposizione a stress prenatale e l’aumentato rischio di sviluppare disturbi stress-correlati in età adulta, con particolare attenzione ai meccanismi epigenetici coinvolti nell’induzione di un fenotipo vulnerabile o resiliente e alle alterazioni funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene come conseguenza dell’esposizione a stress.
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