Come testimonia la sessione attualità dell’Agenzia Italiana del Farmaco, le sostanze naturali sono ancora oggi una fonte preziosissima per la scoperta di nuovi farmaci. Basti pensare che le statine e diversi agenti antibiotici e antitumorali attualmente in uso hanno origine naturale.
Solo il 5-10% delle 250’000-500’000 specie di piante superiori sono state studiate per il loro effetto farmacologico. Quindi il regno vegetale rappresenta un ventaglio enorme di molecole ancora inesplorate. Un ventaglio che prende letteralmente forma nella foglia del Ginkgo (Ginkgo biloba L.), tanto antico da affondare le radici nelle origini della fitoterapia.
Il suo utilizzo tradizionale per il miglioramento cognitivo, i disturbi respiratori e la protezione vascolare è stato sostenuto da diversi studi scientifici. Nonostante sia stato citato per la prima volta tra i rimedi cinesi di circa 5000 anni fa, ancora nel 2018 è stato oggetto di 199 studi pubblicati nella principale banca dati dell’area biomedica.
Poteva il Laboratorio di Farmacognosia di Milano non partecipare a questa indagine senza tempo?
Nell’ultimo anno abbiamo comparato l’effetto anti-ossidante ed anti-infiammatorio di due estratti ottenuti dalle foglie di Ginkgo in modi differenti, ovvero utilizzando etanolo o acetone per l’estrazione di molecole attive.
L’obiettivo principale del lavoro era di dimostrare la bio-equivalenza degli estratti, ottenuti con i due differenti solventi, in termini di risposta cellulare. Per essere più chiari, abbiamo dimostrato in cellule endoteliali umane (derivate dalle pareti dei vasi sanguigni) che l’effetto anti-infiammatorio dell’estratto prodotto con acetone non fosse diverso da quello prodotto con etanolo. Infatti, alcuni paesi, come il Giappone, non ammettono che gli estratti vegetali siano prodotti con l’uso di acetone per questioni di sicurezza. Di conseguenza è nata l’esigenza di dimostrare che fosse possibile realizzare un estratto di alta qualità (e di pari efficacia) anche utilizzando etanolo.
Come accade da migliaia di anni, quando si indaga l’effetto farmacologico del Ginkgo emergono nuove sfide interessanti e impreviste. Nel corso dei nostri studi comparativi abbiamo verificato un effetto noto delle foglie di Ginkgo: l’inibizione dell’adesione di cellule immunitarie alla parete dei vasi, un evento cruciale durante l’infiammazione dei tessuti. Ma durante gli esperimenti un fenomeno insolito ha colpito la nostra attenzione. Il Ginkgo inibiva l’adesione secondo meccanismi difficili da spiegare secondo le conoscenze attuali.
Quando la curiosità si accende a causa di un fenomeno ignoto ci si mette subito a studiare le scoperte di altri ricercatori, in modo da trovare degli indizi e poter scoprire qualcosa di nuovo. Ed è così che ci siamo accorti che il comportamento biologico degli estratti di Ginkgo assomigliava a quello di un’altra molecola naturale presente nel tè (Camellia sinensis L.), la teofillina. Come le foglie di Ginkgo, anche la teofillina è stata impiegata per migliorare i sintomi di alcune malattie respiratorie, per poi diventare spunto per la creazione di nuovi farmaci contro l’asma.
Oltre ad agire sui bronchi, a dosaggi elevati la teofillina può anche avere un effetto anti-infiammatorio sui vasi sanguigni, mediato dall’aumento di un messaggero cellulare chiamato AMP ciclico. Dopo avere studiato la letteratura, abbiamo capito che nessuno aveva ancora mai mostrato chiaramente gli effetti del Ginkgo sullo stesso messaggero nelle cellule vascolari. Abbiamo colto l’occasione per fare nuovi esperimenti e con entusiasmo abbiamo verificato la nostra ipotesi.
Le piante medicinali e il loro utilizzo tradizionale sono davvero una miniera antica e inesauribile di informazioni utili per la salute dell’uomo ed è emozionante inserirsi, anche solo con un piccolo contributo, nella storia della fitoterapia.
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