La sindrome di Rett è una malattia genetica rara del neurosviluppo che si presenta con un’incidenza pari a un caso ogni 10.000 nati. Nonostante questo, essa rappresenta la seconda causa di ritardo mentale nella popolazione femminile. Affligge, infatti, principalmente le donne, in quanto causata da mutazioni del gene MECP2 localizzato sul cromosoma X. Questo gene codifica per una proteina che si lega al DNA e influenza la trascrizione genica, ma al di fuori di questa attività, la reale portata della funzione MECP2 non è ancora del tutto chiara.
I pazienti maschi, invece, sono molto rari poiché, avendo un solo cromosoma X, la mutazione di MECP2 risulta spesso incompatibile con la vita. Attualmente, sono stati ulteriormente identificati altri due geni responsabili della sindrome: CDKL5 e FOXG11.
Le bambine affette dalla sindrome di Rett, dette anche “le bambine dagli occhi belli”, poiché gli occhi sono l’unica cosa che la malattia non riesce a spegnere, hanno uno sviluppo psicomotorio pressoché normale, acquisiscono capacità di linguaggio e di coordinamento motorio, ma tra gli otto e i trentasei mesi di vita inizia la regressione che comporta la perdita di tutte quelle abilità già acquisite.
I sintomi della malattia sono molto variabili, vanno dalla perdita delle abilità di linguaggio, ad estrema ansia e comportamenti compulsivi e stereotipati soprattutto delle mani, crisi epilettiche, problemi gastrointestinali e problemi respiratori. Questi ultimi sono una delle principali cause di morte dei pazienti Rett: le bambine, infatti, spesso muoiono durante la notte per gravi problemi di apnee. A livello microscopico invece, i segni tipici della malattia sono una riduzione del peso del cervello, così come una de-regolazione dell’equilibrio tra neuroni eccitatori ed inibitori e disfunzione delle sinapsi, cioè del punto di contatto e di scambio di informazioni tra i neuroni. Quest’ultima è il segno caratteristico comune a diverse malattie sia del neurosviluppo, come la Rett, ma anche di patologie neurodegenerative come l’Alzheimer e le malattie psichiatriche.
Ad oggi non esistono cure efficaci per rallentare o arrestare il decorso della malattia; è quindi fondamentale cercare di individuare strategie terapeutiche per cercare di bloccare la progressione della patologia e migliorare lo stile e l’aspettativa di vita delle pazienti e delle loro famiglie.
Nel laboratorio di Morte Neuronale e Neuroprotezione diretto da Tiziana Borsello, da sempre, il focus delle ricerche è capire i meccanismi di neurodegenerazione e disfunzione delle sinapsi, con l’obiettivo finale di cercare di individuare gli attori chiave di questi processi per inibirli con farmaci in grado di promuovere la neuroprotezione.
Uno di questi attori chiave è JNK, una proteina coinvolta nella risposta agli stress, in grado fosforilare diversi bersagli cellulari coinvolti nella disfunzione sinaptica e nella morte neuronale. Abbiamo quindi deciso di studiare la via di segnalazione di JNK in tre diversi modelli di sindrome di Rett: il primo caratterizzato da fenotipo severo, grandi deficit locomotori, comportamento ansioso e un numero elevato di apnee che peggiora durante il corso della malattia; il secondo più lieve, legato al mosaicismo di inattivazione del cromosoma X tipico delle bambine. Infatti, in ogni soggetto femmina uno dei due cromosomi X viene inattivato in modo random in ogni cellula. Infine, per dare valore traslazionale alla nostra ricerca, abbiamo deciso di analizzare anche i neuroni differenziati partendo da fibroblasti di pazienti affette da Rett con la tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs).
In tutti i modelli analizzati, abbiamo riscontrato una forte attivazione di JNK sia nel tessuto neuronale totale che nella frazione proteica che rappresenta le spine dendritiche, ovvero le protrusioni che si estendono dai dendriti, il compartimento subcellulare neuronale con il compito di ricevere i messaggi provenienti dagli altri neuroni del network. Inoltre, anche le cellule mutate derivanti dalle pazienti mostrano la stessa attivazione trovata nei modelli sperimentali di malattia, così come un aumento della morte neuronale che non si osserva però nelle cellule sane provenienti dalle stesse pazienti.
Avendo dimostrato la forte attivazione di JNK in tutti i modelli analizzati, abbiamo deciso di testare un suo inibitore, il peptide D-JNKI1, per verificare se l’inibizione dell’iper-attivazione di JNK potesse migliorare il fenotipo patologico dei nostri modelli di sindrome di Rett.
Il trattamento con il peptide induce un forte miglioramento delle performance locomotorie e cognitive nei modelli di malattia, così come una forte riduzione del numero di apnee. Questo è molto rilevante poiché i disturbi respiratori sono tra i sintomi più invalidanti della malattia. Inoltre, l’inibizione di JNK porta anche ad un recupero della corretta organizzazione delle spine dendritiche, fondamentale per il loro buon funzionamento.
Infine, l’inibizione di JNK nelle cellule provenienti dalle pazienti, iPSCs-differenziate in neuroni, blocca la morte neuronale indotta, dimostrando per la prima nell’uomo il ruolo chiave di JNK nella patogenesi della sindrome di Rett.
Questi risultati aprono la strada per l’utilizzo di JNK come un bersaglio farmacologico per la sindrome di Rett; inoltre, D-JNKI1 è già in sperimentazione clinica per altre patologie, quindi potrebbe rappresentare realmente una strategia da sviluppare per cercare di migliorare la sintomatologia anche della sindrome di Rett.
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