In alcuni dei post precedenti abbiamo parlato della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa dell’età adulta, progressiva e fatale, causata dalla morte delle cellule che controllano i movimenti, i motoneuroni. La degenerazione di queste cellule conduce rapidamente a morte, per insufficienza respiratoria, tra i tre e cinque anni dalla comparsa dei primi sintomi. Nonostante le numerose ricerche condotte sulla malattia, le reali cause non sono ancora chiare e questo, in parte, giustifica il fallimento nella messa a punto di una terapia efficace per la malattia, che a oggi risulta ancora incurabile.
Oggi vi racconterò qualcosa sulla genetica della SLA, cioè a proposito dei risultati ottenuti dall’analisi del genoma dei soggetti affetti dalla malattia e di quello dei loro familiari. Tali studi hanno permesso di identificare la presenza di alcuni errori (chiamati mutazioni) nel DNA, che possono essere ereditati e potrebbero aiutare a spiegare la morte dei motoneuroni. Infatti, gli errori nel codice genetico possono tradursi nella sintesi di prodotti (proteine) sbagliati, che non funzionano, funzionano male o funzionano in modo diverso dal normale. Il risultato è un danno nella cellula che li produce, che può degenerare. Le mutazioni nel DNA e le proteine mutate ad esse associate sono quindi di notevole interesse per i ricercatori, che dal loro studio possono identificare e comprendere le cause della malattia e sviluppare nuovi approcci terapeutici.
Ricordiamo che la SLA esiste in due forme: una sporadica e una familiare, che sono indistinguibili da un punto di vista clinico. La prima forma si manifesta in persone che non hanno una storia familiare di malattia e rappresenta la maggior parte dei casi di SLA, circa il 90%. La seconda forma si osserva nel restante 10% dei pazienti, i quali hanno uno o più familiari già colpiti dalla malattia.
L’analisi del genoma dei pazienti ha portato all’identificazione di una serie di geni mutati. Il primo fu identificato nel 1993: il gene SOD1. Tale gene produce una proteina chiamata superossido dismutasi di tipo 1, che viene prodotta da tutte le cellule dell’organismo, nelle quali svolge un’importante azione protettiva nei confronti dei radicali. Per diversi anni fu l’unico gene studiato come possibile causa della malattia, anche se è mutato solo nel 10-20 % dei casi familiari. Dal 1993 al 2014 furono identificati altri 20 geni mutati, tra cui ricordiamo TARDBP, FUS, OPTN, VAPB, UBQLN2, SQSTM1, C9orf72. Negli ultimi quattro anni, grazie allo sviluppo delle tecniche di sequenziamento genico, è stato possibile associare ancora 7 geni alla malattia, tra i quali MATR3, TBK1, NEK1.
Questi geni sono sparsi per il genoma e producono proteine tra loro diverse per struttura e funzione, ma che hanno alcune caratteristiche comuni. Infatti, grazie allo sviluppo di modelli sperimentali basati sulle proteine mutate, i ricercatori hanno identificato quali meccanismi cellulari sono comunemente alterati nella SLA: l’organizzazione del citoscheletro, la funzionalità dei mitocondri, la produzione e la maturazione degli RNA, la proteostasi, l’autofagia, il trasporto delle vescicole e il trasporto assonale. Tali meccanismi sono il bersaglio dei nuovi approcci terapeutici.
La genetica ha quindi un ruolo fondamentale nello studio della SLA, anche se va ricordato che le mutazioni finora identificate spiegano soltanto i due terzi dei casi familiari e il 10 % di quelli sporadici, suggerendo che altri fattori, oltre a quelli genetici, potrebbero concorrere allo sviluppo della malattia.
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