Gli esseri umani sono animali sociali che interagiscono quotidianamente tra loro creando spazi sociali condivisi all’interno della società. Pertanto, le decisioni umane si configurano spesso come decisioni sociali riguardanti gli altri e/o influenzate da essi.
Queste decisioni possono essere raggiunte tramite l’esperienza personale, attraverso una serie di prove ed errori (apprendimento individuale), o tramite l’osservazione degli altri agenti sociali (apprendimento osservazionale o sociale). Inoltre, sofisticati comportamenti prosociali ─ ovvero comportamenti sociali volti a beneficiare gli altri e promuovere il loro benessere ─ come l’altruismo, che molti considerano alla base della nostra società, possono scaturire dai processi decisionali sociali.
Deficit nei comportamenti sociali e prosociali vengono spesso osservati nelle malattie neurodegenerative o nei disturbi psichiatrici e frequentemente associati a una disfunzione dei processi decisionali che avvengono nel contesto sociale.
Il processo decisionale sociale richiede all’individuo abilità complesse: regolare le proprie emozioni e saper leggere, eventualmente condividendole, quelle altrui (regolazione emotiva ed empatia); tener traccia delle precedenti esperienze e interazioni sociali (memoria sociale); comprendere i segnali che provengono dall’ambiente sociale circostante, come le intenzioni e le azioni degli altri (apprendimento sociale).
Nonostante le elevate richieste cognitive e socio-emotive, numerose prove in letteratura suggeriscono che specie non umane tra cui i roditori, come topi e ratti, sono capaci di elaborati processi decisionali che riguardano i loro simili. Queste decisioni sociali a loro volta possono generare comportamenti prosociali raffinati, che rassomigliano a quelli degli umani, come l’altruismo.
I risultati ottenuti con i modelli di laboratorio sono fondamentali per noi ricercatori perché offrono un sistema nel quale è possibile studiare le aree neurali, spesso incluse in interi circuiti il più delle volte condivisi con l’uomo, alla base dei processi decisionali sociali e quindi dei comportamenti prosociali, sia in condizioni di salute che di malattia.
In precedenti studi, specifiche aree cerebrali tra cui l’amigdala e la corteccia prefrontale sono state identificate come fondamentali per la pianificazione di azioni sociali, la regolazione delle emozioni individuali, il riconoscimento di quelle altrui e l’eventuale condivisione di queste. Queste skill cognitive e socio-emotive risultano spesso essenziali per l’inizio e il completamento di un processo decisionale che riguarda altri individui e prende luogo nel contesto sociale.
Anche l’ippocampo è stato riconosciuto come una zona del cervello cruciale per l’apprendimento, la memoria sociale e i processi decisionali in generale. Infatti, l’ippocampo offrirebbe all’individuo le risorse per ricordare e riconoscere gli altri, la possibilità di ripetere/ripercorrere (“replay”) le esperienze-interazioni passate con questi e quindi la capacità di soppesare-valutare le migliori alternative su come agire nell’ambiente sociale circostante. Recentemente, sono stati persino identificati neuroni di tipo “sociale” nella regione dorsale dell’ippocampo in grado di rispondere ai movimenti e le azioni degli altri nello spazio.
Questi studi sulle aree cerebrali e le loro funzioni aprono alla possibilità di identificare specifici circuiti su cui agire a livello farmacologico o comportamentale qualora si presentino disfunzioni sociali e prosociali, come avviene spesso nelle patologie legate al sistema nervoso centrale, che impediscano un normale svolgimento e partecipazione della vita sociale.
Durante il primo anno del mio dottorato, abbiamo sviluppato un paradigma comportamentale per testare i processi decisionali in un contesto sociale attraverso un modello. Lo schema imita un task comportamentale che viene spesso utilizzato nella ricerca umana e che si chiama “dictator game”: un gioco-esperimento in cui i partecipanti devono scegliere se condividere o meno denaro con gli altri. In maniera molto simile, nel nostro task i soggetti possono imparare da soli (apprendimento individuale) o tramite l’osservazione degli altri (apprendimento sociale) come condividere o meno il cibo con i loro compagni, esprimendo così una preferenza sociale etichettabile come altruista o egoista.
I nostri risultati mostrano come i soggetti in studio siano capaci di prendere decisioni sociali ed esprimere sofisticati comportamenti prosociali come l’altruismo imparando da soli tramite la loro esperienza personale. In particolare, i maschi si dimostrano generalmente più altruisti delle femmine nel nostro task: sono maggiormente e più frequentemente disposti a condividere il cibo con i loro compagni anche in condizioni svantaggiose o particolarmente onerose per il donatore.
Alcuni tra i risultati sopra citati sono inclusi in un articolo di ricerca ancora non pubblicato in una rivista scientifica. Inoltre, i soggetti possono anche imparare come esprimere decisioni sociali e comportamenti prosociali tramite l’osservazione degli altri (apprendimento sociale). Questa forma di apprendimento rappresenta, in molti casi, un tipo di apprendimento più robusto ed efficiente rispetto all’apprendimento individuale (cioè, senza alcuna osservazione precedente). Il vantaggio derivato dall’osservazione altrui è particolarmente evidente nelle battute iniziali del nostro task in cui la maggior parte dei soggetti che hanno già osservato la performance dei loro simili sa già come comportarsi e cosa scegliere nel contesto sociale presentato.
I risultati del secondo e terzo anno del mio dottorato, invece, si concentrano sulle aree e i circuiti neurali sottostanti l’apprendimento individuale e sociale dei processi decisionali sociali. I nostri risultati dimostrano come l’amigdala, la corteccia prefrontale e la loro comunicazione continua svolgano un ruolo chiave per quanto riguardo l’inizio, lo svolgimento e l’esecuzione delle azioni sociali riguardanti i nostri simili. Infatti, la disfunzione di una di queste aree e/o della loro connessione può portare a una condotta di impronta fortemente antisociale (deriva egoista/ica), a difficoltà nell’attribuire una valenza sociale alle proprie azioni e ad anomalie di tipo sociale ed emotivo-sociale nella relazione con gli altri. Inoltre, il nostro lavoro sulla regione dorsale dell’ippocampo evidenzia come deficit a livello di quest’area rallentino o addirittura impediscano l’apprendimento dai nostri simili (apprendimento sociale). Sembra che in quest’ultimo caso la disfunzione dell’area ippocampale generi un blocco nell’individuo per quanto riguarda l’acquisizione e la comprensione dell’informazione sociale proveniente dagli altri. Questo blocco avrebbe poi importanti ripercussioni sulla performance sociale dell’individuo, che non potendo più avvalersi dell’esperienza sociale precedentemente osservata, avrebbe poi difficoltà nel prendere una decisione e compiere un’azione nel medesimo contesto sociale.
In conclusione, i risultati della mia ricerca dimostrano che i modelli in studio, in maniera molto simile agli uomini, possono essere in grado di prendere decisioni sociali e dimostrare comportamenti prosociali come l’altruismo verso gli altri. Quindi, rappresentano un riferimento prezioso per indagare più a fondo le basi neurali ovvero le “fondamenta” dei processi decisionali sociali.
In particolare, il nostro modello ha evidenziato ─ e continua a farlo ─ il ruolo determinante di alcune aree del cervello, probabilmente parte di un circuito specifico, come l’amigdala, la corteccia prefrontale e l’ippocampo nell’apprendimento e nell’esecuzione di decisioni sociali sia quando l’individuo deve basarsi solo sulla propria esperienza sia quando deve riutilizzare l’informazione proveniente dalle esperienze dei suoi simili. Infine, questa ricerca potrebbe essere estremamente utile per far luce su quelle situazioni di malattia come i disturbi neurodegenerativi o psichiatrici in cui la disfunzione delle aree sopra citate è spesso riportata in letteratura e accompagnata da deficit nei processi decisionali sociali e nei comportamenti prosociali, che hanno un reale impatto sulla qualità della vita e sulla partecipazione in società dei cittadini che ne soffrono.
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