Quando ci chiediamo il perché curarsi con le sostanze naturali, spesso dimentichiamo la lunga tradizione che le accompagna. Per una valtellinese come me l’interesse per le piante alpine è sempre stato grande e quando, grazie al laboratorio di Farmacognosia, nell’occasione di collaborare con un progetto Interreg, c’è stata l’opportunità di studiare Achillea moschata Wulfen, ho subito colto l’occasione.
A. moschata è una pianta spontanea presente lungo tutto l’arco alpino che cresce tra i 1800-3600 mt di altitudine. Dagli studi etnobotanici presenti in letteratura, condotti in diverse località alpine nel territorio compreso tra Valtellina e Valchiavenna, è emerso che tra le specie più conosciute e più usate nella medicina popolare valtellinese c’è proprio A. moschata, chiamata comunemente Taneda o Erba Iva.
Oltre che nei liquori alle erbe, come il conosciutissimo Braulio, le sue infiorescenze vengono tutt’ora utilizzate dalla popolazione locale, me medesima, in infusione per migliorare la digestione e per generici disturbi gastro-intestinali. Nonostante il grande utilizzo nell’ambito liquoristico e alimentare (la troviamo utilizzata come aroma in numerose ricette, quali i pizzoccheri, nella pesteda grosina, sulla carne, e nei dolci), fin’ora l’Erba Iva non è mai stata studiata in ambito scientifico a livello gastrico.
Ed è qui che entra in campo l’etnofarmacologia, una disciplina che ha lo scopo di cercare nel bacino delle conoscenze umane sulle piante medicinali tramandate nei secoli per provare a darne un valore scientifico. In laboratorio, a partire dalle infiorescenze essiccate, abbiamo deciso di preparare due diversi tipi di estratti da studiare a confronto: un infuso in acqua bollente e un estratto idroalcolico, il primo citato nell’uso tradizionale, il secondo utilizzato come gold standard per la preparazione di prodotti a base di polifenoli. Come già spiegato in un altro post, il tipo di solvente utilizzato per il processo di estrazione di una droga può influenzare la tipologia di molecole che vengono estratte e, conseguentemente, la loro attività biologica.
I due diversi estratti di A. moschata sono stati studiati in un modello di infiammazione gastrica in vitro in co-coltura con Helicobacter pylori, uno dei pochi batteri che riesce a colonizzare la mucosa gastrica e importante fattore eziologico della gastrite cronica, in cui vi ho parlato in un mio precedente post.
Di questi estratti è stata valutata l’attività antinfiammatoria sulle cellule di epitelio gastrico infettate dal batterio, andando a misurare l’inibizione del rilascio di citochine e mediatori dell’infiammazione coinvolti nel pathway di NF-κB. In seguito, è stata approfondita l’attività antibatterica degli estratti e la loro attività antiadesiva di inibizione del legame tra batterio e cellule.
Questi due target risultano interessanti nell’ipotesi di coadiuvare l’eradicazione del patogeno stesso promuovendone un utilizzo in co-trattamento con antibiotici per ridurne il dosaggio, migliorare le antibiotico-resistenze e diminuire gli effetti collaterali a essi associati. I primi risultati ottenuti in questo modello di gastrite acuta sui parametri elencati sono promettenti e sembrano chiarire l’utilizzo tradizionale che da sempre le popolazioni locali avevano costatato.
Il progetto non solo ha lo scopo di studiare una nuova potenziale sostanza naturale per contrastare i disturbi gastrici, ma anche quello di valorizzare il territorio nel quale questa erba cresce spontanea.
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