Anche durante le feste la ricerca non si ferma, un po’ per le scadenze, sempre troppo vicine, ma soprattutto per passione, perché – alla fine – stare in laboratorio ci piace un sacco. Non sempre serve un laboratorio per fare ricerca, anche a casa si può studiare sui libri, aggiornarsi leggendo le ultime pubblicazioni scientifiche riguardanti il proprio campo di interesse, si possono analizzare i dati raccolti, ideare progetti e molto molto altro.
Nel mio caso, il mio laboratorio può stare tranquillamente sul tavolino del salotto e posso fare tutti gli esperimenti che voglio anche dal divano, meglio se con una fetta di panettone. Infatti, mi occupo di biochimica computazionale, una branca della bioinformatica che si occupa di studiare, con l’utilizzo dei computer, la struttura delle proteine e come queste interagiscano tra loro, con le membrane cellulari o con altre molecole sia endogene, prodotte dal nostro organismo, sia esogene, ovvero provenienti dall’esterno, quali farmaci o tossine. Le proteine, infatti, sono gli effettori di quasi tutte le operazioniche permettono agli organismi di funzionare; dalla struttura di una proteina dipende intrinsecamente la sua attività. Le proteine sono formate da aminoacidi, piccole molecole prodotte dal metabolismo o assunte tramite l’alimentazione, che vengono unite per formare una catenacon un ordine ben preciso, che è codificato, per ogni proteina, all’interno del DNA.
Il metodo di indagine in quest’area di ricerca è prevalentemente computazionale, ovvero si utilizza la potenza di calcolo dei computer per simulare sistemi biologici attraverso l’applicazione delle leggi della chimica fisica che definiscono le interazione tra gli atomi.
Le applicazioni di questa metodologia sono moltissime, infatti, oltre a permetterci di comprendere come le proteine svolgano le proprie funzioni biologiche, analizzandone la struttura diventa possibile progettare nuovi farmaci altamente selettivi per modulare tali funzioni a scopi terapeutici; si può poi predire l’effetto strutturale di mutazioni genetiche sulla funzionalità o sulla capacità di proteine di interagire con un farmaco; inoltre, è anche possibile progettare proteine con specifiche proprietà per scopi terapeutici o biotecnologici, come nel caso degli anticorpi monoclonali (farmaci biologici) o dei biocatalizzatori utilizzati nel campo della sintesi chimica.
Proprio perché lo strumento principale per svolgere questo lavoro è il computer, attraverso il portatile posso collegarmi ai computer del laboratorio, molto più potenti, ed effettuare o analizzare gli esperimenti sui cui si basa il mio dottorato di ricerca.
Il mio progetto riguarda lo sviluppo di una nuova strategia farmacologica per il trattamento di una malattia genetica rara, causata dalla mutazione di LCAT, un proteina con attività catalitiche (enzima) fondamentale per il corretto funzionamento delle lipoproteine, ovvero di quelle strutture necessarie per il trasporto dei lipidi e del colesterolo nel sangue. LCAT, infatti, modifica i lipidi contenuti nelle lipoproteine e la sua attività dipende dalla sua struttura, in particolare dalla conformazione assunta da una serie di aminoacidi che formano un coperchio, in grado di aprirsi e chiudersi e in questo modo regolare l’accesso dei lipidi all’interno del sito catalitico di LCAT, dove avviene la reazione chimica che li modifica. In questi giorni, infatti, sto analizzando un esperimento di metadinamica, (una metodologia utile per calcolare la propensità di una proteina ad assumere una specifica conformazione) volto a studiare proprio la mobilità del coperchio, un possibile bersaglio per la modulazione farmacologica dell’attività di LCAT.
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