Ricerca dei fattori diagnostici e predittivi dell’angiopatia amiloide cerebrale

L’angiopatia amiloide cerebrale (CAA) è la principale causa di emorragie intracerebrali negli anziani, e un importante fattore nel declino cognitivo correlato all’invecchiamento (1). La malattia si caratterizza per la deposizione patologica di proteina β-amiloide nella tunica media e avventizia dei vasi leptomeningei e corticali cerebrali, predisponendo a lesioni i vasi sanguigni interessati. La proteina accumulata nei vasi è condivisa dalla malattia di Alzheimer (AD), dalla quale, per molti anni, CAA è risultata indistinguibile e quindi definita “malattia rara” in quanto sotto-diagnosticata.

La proteina β-amiloide, accumulata nel parenchima cerebrale dei pazienti affetti da AD, nella CAA si deposita invece a livello dei vasi sanguigni, contribuendo a manifestazioni cliniche differenti. Nella CAA si osservano frequentemente piccole emorragie cerebrali (solitamente localizzate in un unico lobo cerebrale, a differenza delle emorragie legate all’ipertensione), declino cognitivo e fenomeni neurologici focali transitori (TFNE), ovvero brevi disturbi delle funzioni motorie, somatosensoriali, visive o del linguaggio.

L’eziologia della CAA non è ancora del tutto compresa; la patologia può manifestarsi in due forme, familiare e sporadica. I casi di CAA familiare sono legati a mutazioni nel gene che codifica per la proteina precursore della β-amiloide (APP) o in geni ad essa correlati. La CAA sporadica si presenta invece in pazienti anziani, senza una precisa componente genetica, sebbene alcune evidenze abbiano dimostrato una relazione con il gene codificante l’apolipoproteina E (APOE). Si è infatti notato che pazienti con la variante allelica epsilon 2 o epsilon 4 di APOE sembrano avere un rischio maggiore di emorragie intracraniche rispetto alla popolazione generale (2).

Non esiste attualmente una terapia farmacologica specifica per la fase acuta né per la prevenzione della CAA. La gestione terapeutica del paziente si basa essenzialmente su uno stretto controllo pressorio e su una rigorosa valutazione del rapporto rischio-beneficio dell’uso di farmaci antitrombotici. La prognosi dipende dalle caratteristiche di presentazione della CAA, con esiti peggiori nei pazienti con emorragie di grandi dimensioni e di età avanzata.

Pur essendo una malattia descritta da tempo, il suo inquadramento nosologico è relativamente recente, poiché in passato la diagnosi trovava conferma solo su tessuti autoptici. Gli originali criteri di Boston per la diagnosi della malattia risalgono al 1995. Nel 2010 essi sono stati rivisti, introducendo la categoria denominata “probabile CAA”, in cui segni di multiple emorragie lobari, microsanguinamenti cerebrali o una lesione emorragica unitamente a siderosi corticale superficiale, indicavano la presenza di una patologia associata alla CAA, con alta specificità ma bassa sensibilità, (in particolare in pazienti senza emorragie cliniche evidenti; 3). Nel 2022 sono stati infine formulati i criteri di Boston “versione 2.0” che hanno incorporato alcuni markers di neuroimaging, per aumentare la sensibilità senza compromettere la specificità nella diagnosi della malattia. 

L’evoluzione dei criteri di Boston, favorita da innovazioni neuroradiologiche e dall’analisi di specifiche sequenze di risonanza magnetica, consente attualmente di reperire segni suggestivi della patologia anche prima che essa conduca a decadimento cognitivo e/o a eventi emorragici maggiori. Per una diagnosi corretta e tempestiva, ma soprattutto per poter seguire la progressione della patologia nel tempo, sarebbe utile associare ai marcatori neuroradiologici, alcuni marcatori biologici, rilevabili nei fluidi circolanti (e.g., fluido cerebrospinale, CSF; plasma). Sarebbe quindi auspicabile che il dosaggio di biomarcatori circolanti potesse entrare nella pratica clinica, a sostegno dell’indagine diagnostica, prognostica e predittiva.

Numerosi studi si sono originariamente diretti alla valutazione della concentrazione di β-amiloide Aβ40 e Aβ42 (peptidi patologici derivanti dal taglio della proteina β-amiloide) nel CSF di pazienti affetti da CAA. Presso il Laboratorio di Neurobiologia della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta (responsabile Laura Gatti), afferente alla Struttura Complessa Neurologia 9 – Malattie Cerebrovascolari (diretta da Anna Bersano), a partire dal 2021, abbiamo iniziato a reclutare pazienti con segni di presunta CAA, e a collezionare campioni di CSF e plasma. Alcuni pazienti sono stati poi seguiti nel loro follow-up di malattia, e sottoposti a visita neurologica, valutazione neuropsicologica, indagini neuroradiologiche e prelievi biologici a dodici (T1) e ventiquattro mesi (T2) dall’arruolamento (T0), rispettivamente.

Sono stati valutati nel CSF e nel plasma alcuni marcatori biologici di neurodegenerazione, già noti e correntemente utilizzati nella diagnosi dell’AD (i.e., Aβ40, Aβ42, Tau e phospho-Tau) allo scopo di individuare dei valori soglia in grado di supportare la diagnosi neuroradiologica e di seguire nel tempo la progressione della CAA. Il livello di tali biomarcatori è stato misurato in entrambi i fluidi biologici per sondare la possibilità di evitare il prelievo di CSF mediante puntura lombare a favore di un semplice prelievo di sangue periferico, meno invasivo per il paziente e più semplice da eseguire per l’operatore sanitario.

Queste prime valutazioni, unitamente all’analisi neuroradiologica, hanno permesso di classificare in maniera più precisa pazienti inizialmente definiti genericamente come affetti da “probabile CAA, e solo successivamente risultati affetti da malattia dei piccoli vasi o da CAA accertata. Una coorte di donatori sani, associati per sesso ed età ai pazienti, è stata inclusa nelle analisi del plasma, per poter stabilire un range di riferimento dei valori di Aβ40, Aβ42, Tau e phospho-Tau. Inoltre, è stata effettuata una prima analisi proteomica globale delle due matrici biologiche, che ha messo in luce alcuni pathways modulati relativi all’ambito infiammatorio e immunologico, sottolineando il coinvolgimento di numerosi fattori nello sviluppo della CAA. Ulteriori analisi potranno permettere di individuare alcuni pannelli di proteine differentemente modulate sia tra pazienti e controlli sani, che tra pazienti con diverse caratteristiche cliniche associate alla CAA. Inoltre, tramite l’analisi di campioni di plasma a diverse tempistiche (e.g., T0, T1, T2), sarà possibile valutare se le proteine individuate possano dare informazioni sul decorso della malattia e fornire quindi ai clinici maggiori indicazioni su una migliore gestione del paziente in termini di frequenza dei controlli, scelta e dosaggio della terapia farmacologica e attuazione di misure preventive.

Bibliografia
1. Smith EE, Greenberg SM. Beta-amyloid, blood vessels, and brain function. Stroke. 2009 Jul;40(7):2601-6. doi: 10.1161/STROKEAHA.108.536839. Epub 2009 May 14. PMID: 19443808; PMCID: PMC2704252
2. Charidimou A, Zonneveld HI, Shams S, Kantarci K, Shoamanesh A, Hilal S, Yates PA, Boulouis G, Na HK, Pasi M, Biffi A, Chai YL, Chong JR, Wahlund LO, Clifford JR, Chen C, Gurol ME, Goldstein JN, Na DL, Barkhof F, Seo SW, Rosand J, Greenberg SM, Viswanathan A. APOE and cortical superficial siderosis in CAA: Meta-analysis and potential mechanisms. Neurology. 2019 Jul 23;93(4):e358-e371. doi: 10.1212/WNL.0000000000007818. Epub 2019 Jun 26. PMID: 31243071; PMCID: PMC6669935.
3. Greenberg SM, Charidimou A. Diagnosis of Cerebral Amyloid Angiopathy: Evolution of the Boston Criteria. Stroke. 2018 Feb;49(2):491-497. doi: 10.1161/STROKEAHA.117.016990. Epub 2018 Jan 15. PMID: 29335334; PMCID: PMC5892842.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.