L’apparato muscolo-scheletrico costituisce il più grande organo del nostro corpo e il suo nome deriva dalla profonda interconnessione tra ossa e muscoli. Questo intricato sistema ci permette di respirare, masticare, muoverci, mantenere la postura ed evitare la dislocazione articolare, grazie alla sua capacità contrattile. Tuttavia, questo apparato svolge anche altre funzioni importanti: agisce come riserva di energia, immagazzinando proteine e glucosio, e permette la generazione di calore, essenziale per mantenere il nostro corpo a temperatura costante.
Pertanto, non deve sorprendere se una modifica in un singolo gene fondamentale per questo apparato, la distrofina, abbia conseguenze drammatiche. La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia in cui l’assenza di distrofina, normalmente localizzata alla periferia della cellula, rende i muscoli fragili e tendenti alla degenerazione.
Questa malattia colpisce principalmente i maschi, raggiungendo una prevalenza di 1/3500 a livello mondiale. La sua prevalenza nel genere maschile è dovuta alla localizzazione della distrofina sul cromosoma X; poiché una donna possiede due copie di questo cromosoma, l’eventuale presenza di una sequenza difettosa è compensata dalla quella corretta presente nel secondo cromosoma.
Tuttavia, quando la sequenza difettosa viene trasmessa a un figlio di sesso maschile, la malattia si manifesta perché l’uomo possiede solo una copia di cromosoma X.
I pazienti colpiti da questa patologia devono ricorrere all’uso di una sedia a rotelle a partire dai 13 anni di età e generalmente vanno incontro a morte verso la trentina, a causa di arresti cardiaci o respiratori. Attualmente non esiste una cura per questa malattia progressiva. Sebbene l’origine della DMD sia genetica, è stata evidenziata una complessa interazione con il sistema immunitario dell’individuo.
Il trattamento con i corticosteroidi aiuta a mantenere la forza muscolare, diminuendo lo stato infiammatorio. Sebbene il trattamento migliori le condizioni dei pazienti con DMD, fin dagli anni ’70, esistono gravi effetti avversi, che da anni spingono gli scienziati alla ricerca di strategie alternative.
L’infiammazione è la risposta del sistema immunitario alle cellule muscolari danneggiate, una risposta che anticipa la via della rigenerazione muscolare. Le fibre danneggiate vengono attaccate e rimosse dai macrofagi M1, definiti come pro-infiammatori perché pur liberando l’area lesionata, allarmano e attivano il sistema immunitario. La successiva popolazione di macrofagi M2, qualificati come “antinfiammatori”, abbassa questa risposta e promuove la rigenerazione muscolare. Nei pazienti affetti da DMD, i muscoli appena sintetizzati mancano ancora della proteina distrofina sulla loro membrana e per questo motivo rimangono fragili e tendenti a nuove lesioni.
È stato dimostrato che la prematura eliminazione dei macrofagi M1 porta alla riduzione delle lesioni muscolari. Pertanto, modificare l’equilibrio tra i macrofagi M1 e M2 sembra essere una strategia terapeutica promettente.
Recentemente, la sfingomielinasi acida (A-SMase) è stata correlata a disturbi legati all’infiammazione, come l’Alzheimer e il Parkinson, e sono sempre più numerose le prove che suggeriscono il suo coinvolgimento diretto nell’infiammazione. Sulla base di questa ipotesi, abbiamo scoperto nel nostro laboratorio che c’è una sovraregolazione di A-SMase nel muscolo affetto da DMD, rispetto alla variante sana, indicando così un possibile coinvolgimento dell’enzima nella patogenesi di questa condizione.
Poiché l’inibizione di A-SMase si è rivelata una strategia terapeutica promettente per ridurre l’infiammazione, stiamo attualmente lavorando per tradurre questi risultati a livello farmacologico. Nell’ultimo decennio sono stati identificati inibitori funzionali di A-SMase (FIASMAs), la maggior parte di essi sono antidepressivi come l’amitriptilina o la fluoxetina, farmaci già approvati all’uso dall’EMA (European Medicines Agency) e dalla FDA (Food and Drug Administration). Entrambi hanno effetti di bassa tossicità e sono potenzialmente disponibili per l’uso clinico nella DMD, come farmaci di nuova collocazione.
L’amitriptilina ha già dimostrato di migliorare la funzione muscolare e l’infiammazione, ed abbiamo recentemente scoperto che agisce anche su A-SMase nella DMD, giustificando almeno in parte gli effetti benefici osservati.
Nel nostro laboratorio attualmente stiamo valutando gli effetti di altri FIASMAs, alla ricerca di molecole più sicure dell’amitriptilina. I risvolti di queste ricerche potrebbero essere utili non solo ai pazienti con DMD, ma anche per altri disturbi correlati all’infiammazione.
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