Chi non ha mai sentito parlare del compromesso tra bastone e carota per ottenere qualcosa?
Potrebbe sembrare riduttivo paragonare una malattia psichiatrica, quale è l’anoressia nervosa, a questa metafora, ma in realtà è proprio quello che accade quando si ha a che fare con un disturbo del comportamento alimentare come questo.
Questa terminologia non descrive altro che una continua alternanza di metodi di persuasione: maniere forti, con minacce e punizioni, e maniere dolci, con lusinghe e premi.
Una persona affetta da anoressia non fa altro che iniziare a giocare con bastone e carota su sé stessa al fine di raggiungere il proprio obiettivo: sentirsi bene, appagata, e in armonia con il proprio corpo. Fino a qui nulla da ridire, d’altra parte è un metodo che a volte funziona, no? Il gioco tuttavia, presto finisce in una spirale di autodistruzione fuori controllo, da cui è davvero difficile uscire. Il punto su cui è necessario soffermarsi è però, il tipo di obiettivo che i pazienti anoressici si pongono, che in realtà è completamente distorto rispetto a quello che perseguirebbe una persona sana, ed è qui che nasce il problema della patologia.
Le cause scatenanti la malattia non si conoscono ed è per questo che il mondo scientifico non ha ancora trovato una cura per l’anoressia: tutti i trattamenti farmacologici messi in atto dagli specialisti riguardano l’impiego di farmaci ad effetto puramente sintomatologico, in genere accoppiati a sedute di terapia psichiatrica. Si tratta di genetica? Di un trauma? La società? (link) Ancora non ne sappiamo abbastanza per dirlo.
Quello che però sappiamo è che il bastone e la carota scaturiscono da uno sbilanciamento di meccanismi cerebrali appartenenti al cosiddetto circuito della ricompensa, a seguito del quale i pazienti non sono più in grado di discernere tra un qualcosa che è naturalmente gratificante, e qualcosa che è patologicamente gratificante. La motivazione a perseguire un determinato comportamento scorretto è centrale in questa patologia, quindi partiamo da qui e vediamo di capirne di più.
Il circuito della ricompensa è composto da diverse strutture cerebrali, ognuna dotata di un preciso compito. La VTA o area ventrotegmentale, e il NAc o Nucleus Accumbens sono le principali. I neuroni della VTA sono essenzialmente neuroni dopaminergici, cioè in grado di rilasciare dopamina, la famosa molecola del piacere (link), in direzione del NAc, che a sua volta è connesso alla VTA proiettando neuroni di tipo GABAergico, quindi prevalentemente inibitori. Per permettere il perfetto funzionamento di questo circuito servono altri contributi, come quello dato dalla corteccia prefrontale, responsabile delle nostre azioni consce e ponderate, del pensiero razionale e dell’esecuzione di funzioni superiori, come la logica; dall’ippocampo, sede della memoria a lungo termine, dei ricordi e del riconoscimento spaziale; dall’amigdala, che controlla invece la componente emotiva, gestisce emozioni come l’aggressività, la rabbia, ma anche il piacere e la memoria a breve termine. Tutte queste aree sono interconnesse tra di loro in un preciso sistema, apparentemente molto complesso e labile, ma che, se mantenuto in equilibrio, è in grado di regolare il nostro essere, e nel nostro specifico caso d’analisi, di accendere e spegnere i segnali di piacere, al momento giusto, dando quindi una ricompensa al soggetto soltanto quando è necessaria, rendendolo così pienamente appagato.
Se questo sistema però non è in equilibrio, l’obiettivo diventa una magrezza innaturale, non fisiologica, perseguita mediante un’estrema attività fisica accoppiata ad una dieta sbilanciata e altamente restrittiva. Per tornare alla nostra metafora, il bastone diventa un insieme di punizioni fisiche, come l’indurre il vomito perché ci si sente in colpa per aver mangiato e l’autolesionismo; mentre la carota è il guardare la bilancia e vedere che i chili scompaiono velocemente.
In sunto, “lo stai facendo male, non perdi peso!” Bastone. “Lo stai facendo bene! Vai avanti.” Carota.
.. E guardare la bilancia, attenzione, perché se invece si guarda lo specchio allora torna ad essere bastone, perché non si vede nel riflesso quello che si vorrebbe vedere, bensì grassezza, inadeguatezza e imprecisione.
Ma, attenzione di nuovo, questo è solo frutto di un qualcosa che nel nostro cervello ha smesso di comunicare quello che dovrebbe. C’è un corto circuito nel sistema. Quindi, ecco che torna in gioco la motivazione, che cambia la propria direzione, e bastone dopo carota e carota dopo bastone, il circolo vizioso dell’anoressia nervosa prende piede, si radica e si fomenta da solo, portando, se non preso in tempo, nella maggioranza dei casi alla morte (link).
Per questo, nel laboratorio di ricerca di cui faccio parte, al DiSFeB di Milano, ci stiamo occupando di studiare, tra altri aspetti, questi meccanismi di regolazione neurobiologica, al fine di trovare un target specifico su cui poter lavorare, e sviluppare una terapia mirata ed efficace. I risultati che stiamo ottenendo sono molto promettenti, e ci spronano a perseguire il nostro obiettivo, reso possibile anche grazie al finanziamento da parte di Fondazione Cariplo e Fondazione Nando Peretti, ma la strada purtroppo è ancora lunga. L’incidenza della malattia è sempre in crescita, ad oggi colpisce maggiormente ragazzi giovani, in piena adolescenza, sia maschi che femmine, e l’indice di ricaduta è spaventosamente alto.
Mi rendo conto che sia difficile pensarla come una patologia così preoccupante, ma vi invito a leggere un post che avevo già scritto sull’argomento per aiutarvi a capire quanto sia pericolosa e con quanta facilità sia in grado di insediarsi nelle menti dei più giovani.
Alla prossima!
Francesca
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