Comunicare il fallimento

Proviamo a parlare qualche minuto di comunicazione del fallimento?
È un tema negletto per chi si occupa di comunicazione ma è qualcosa con cui dobbiamo imparare tutti a fare i conti, perché comunicare in maniera onesta e responsabile è un dovere nei confronti dell’opinione pubblica, dei cittadini.

Generalizzando un po’ ma senza allontanarci molto dal vero possiamo dire che la gran parte della comunicazione che passa attraverso i media classici, che segua un percorso squisitamente informativo o uno promozionale, non ha mai amato confrontarsi molto con la tematica fallimento. Gli imprenditori di cui ci raccontano i giornali o le trasmissioni radio-televisive sono eleganti, intelligenti e scaltri. Le modelle che acquistano la crema antirughe hanno tutte meno di vent’anni e una pelle perfetta, ovviamente senza rughe, altrimenti si tratta di Jane Fonda. Il politico, a cui venga concesso tempo sui media per raccontarci le promesse che concretizzerà nel caso in cui venga eletto, sembra sempre avere la soluzione semplice a problemi chiari che poi si rivelano disastri ingestibili. La comunicazione seleziona le storie da raccontare, il registro comunicativo da usare e le eventuali omissioni utili a dare all’opinione pubblica ciò che questa si aspetta.

Ovviamente assecondare l’opinione pubblica, delineando un mondo irreale attraverso la selezione preferenziale dei successi e l’omissione dei fallimenti, pone le basi per possibili incomprensioni contro le quali presto o tardi si finisce per scontrarsi.

Questo discorso vale a maggior ragione per la comunicazione scientifica e la disseminazione dei risultati della ricerca. Le principali testate giornalistiche, le trasmissioni televisive e i media minori dedicano pochissimo spazio a temi scientifici, nonostante siano molto rilevanti per la qualità della vita dei cittadini e per lo sviluppo economico del paese. I giornalisti in maniera comprensibile privilegiano le storie di successo, le scoperte grandiose e il punto di vista dei super-scienziati dimenticando di raccontare che la ricerca è fatta di fatica, di frustrazione, di sforzo spesso seguito dal fallimento. Anche le agenzie di finanziamento paiono spesso più preoccupate di finanziare ricerche che porteranno a un risultato certo, piuttosto che incentivare progetti più rischiosi ma innovativi, che potrebbero portare grandi benefici alla società.

Credo che il ruolo dei ricercatori dal punto di vista comunicativo si possa e si debba differenziare significativamente da quello delle figure tipiche che operano nei media classici. Mi immagino una comunicazione che non dipenda strettamente dai modi, dai tempi e dai vincoli formali dei vecchi media ma che decida i propri modi e tempi, servendosi prevalentemente delle nuove tecnologie e dei nuovi media. In questo nuovo paradigma comunicativo bidirezionale, in cui il ricevente dell’atto comunicativo ha anche la possibilità di diventare parte attiva della discussione, il ricercatore può trovare i tempi giusti per una comunicazione continua, di buon livello e lontana dai sensazionalismi che non fanno bene alla percezione della scienza. Abbiamo il dovere di imparare a comunicare il nostro lavoro quotidiano all’opinione pubblica, in modo che nessuno possa pensare che sia facile o che i risultati che abbiamo ottenuto fino ad ora siano sufficienti. Dobbiamo far passare il concetto che fare ricerca è faticoso e che, dietro al racconto di un successo descritto dai giornali o dalla televisione, spesso ci sono storie lunghe, faticose, piene di ostacoli e costellate di difficoltà quotidiane.

Raccontando la nostra quotidianità, le nostre frustrazioni, i nostri fallimenti e ovviamente anche i nostri successi, riusciremo a trasmettere un’idea più realistica e decisamente più umana dei ricercatori. Col tempo potremmo riuscire a far capire a chi ci legge o ci ascolta che lavoriamo per il bene della società e che abbiamo anche bisogno del loro aiuto, del loro sostegno, del loro supporto e forse anche del loro affetto per non scoraggiarci e per poter raggiungere i risultati che ci siamo prefissati con determinazione. Comunicando i nostri piccoli e grandi fallimenti e condividendoli con i cittadini in maniera onesta e trasparente, senza rappresentazioni artefatte, riusciremo a far capire la reale importanza della ricerca e il costo che si nasconde dietro ai successi. Spiegheremo al maggior numero possibile di persone che questo paese ha bisogno di grandi investimenti in ricerca, perché non esiste modo migliore di investire le nostre risorse e insegneremo ai giovani che nella vita non si può essere sempre vincenti. Chi sostiene il contrario mente e chi vince una volta, a meno che non sia molto molto fortunato, ha già perso almeno altre cento.


Pubblicato

in

da

Commenti

Una risposta a “Comunicare il fallimento”

  1. […] uno dei primi post di questa serie Ivano Eberini ha parlato del comunicare il fallimento. Vorrei continuare in quest’ambito ponendo l’accento su alcuni aspetti che mi sollecitano in […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.