Dalla reticenza alla rivoluzione: come tre generazioni interpretano la depressione

La depressione è una psicopatologia complessa e multifattoriale che può presentarsi ad ogni età nel corso della vita con differenti manifestazioni sintomatiche. Questa malattia è spesso invisibile nelle sue forme più lievi e porta con sé un severo stigma, una sorta di colpa che si imputa al malato stesso. Nonostante la sua alta incidenza nella popolazione, i casi con manifestazioni sintomatologiche minori, negli scorsi decenni, spesso non ricevevano una diagnosi, anche a causa della scarsa informazione della popolazione e della reticenza al consulto psicologico.

La percezione e la concezione della depressione possono variare notevolmente tra le diverse generazioni, riflettendo i cambiamenti sociali, culturali e tecnologici che hanno caratterizzato i decenni passati. Grazie alle testimonianze di alcune persone di diverse fasce d’età, esploreremo in questo scritto come la depressione sia interpretata e affrontata da tre generazioni distinte: i Boomer, i Millennial e la Gen Z.

I Baby Boomer, nati tra il 1946 e il 1964, sono cresciuti in un’epoca in cui la discussione sulla salute mentale veniva spesso evitata. La depressione era percepita con una certa reticenza, e il concetto stesso di disturbo mentale era circondato da uno stigma sociale significativo. L’approccio tradizionale tendeva a enfatizzare la forza interiore e la capacità di superare le difficoltà senza dover ricorrere all’aiuto professionale, concependo la depressione come un “momento difficile” o una “mancanza di voglia di reagire”.

I Millennial, nati tra il 1981 e il 1996, hanno assistito a un cambiamento culturale significativo in merito alla discussione sulla salute mentale. Questa generazione ha affrontato sfide economiche uniche, crescendo in una situazione di crisi e di incertezza finanziaria. Questi fattori possono contribuire allo stress e all’ansia, aumentando la vulnerabilità alla depressione e infatti il 54% dei Millennial afferma che l’ansia finanziaria li rende depressi, rispetto al 20% dei Boomer. La crescente consapevolezza dell’importanza della salute mentale ha portato i Millennial a essere più aperti riguardo ai loro stati d’animo e alla salute mentale. La depressione è stata vista sempre più come una malattia legittima, con una maggiore accettazione sociale del bisogno di trattamento.

Internet e i social media hanno anche fornito piattaforme per la condivisione delle esperienze, riducendo lo stigma associato alla depressione. Riconoscere i propri sintomi in altri individui, aiuta ad identificarli come tali e a dar loro legittimità, grazie a questo i Millennial sono spesso più propensi a cercare supporto professionale e ad abbracciare approcci terapeutici innovativi.

La Gen Z, nata a partire dalla metà degli anni ’90 fino al 2010 circa, è cresciuta in un’era digitale. L’accesso illimitato alle informazioni tramite internet ha reso la Gen Z incredibilmente consapevole delle questioni di salute mentale fin dalla giovane età. Per la Gen Z, la tecnologia è un aspetto integrante della vita quotidiana, ma può anche contribuire all’isolamento. La pressione delle aspettative online e il confronto continuo sui social media possono amplificare i sentimenti di inadeguatezza, influenzando la percezione della depressione.

La depressione è stata affrontata in modo più aperto e preciso rispetto alle generazioni precedenti, con lo sviluppo di una maggiore sensibilità verso i problemi di salute mentale e il riconoscimento dell’importanza di interventi tempestivi e di un sostegno significativo. La concezione della depressione varia tra le generazioni, riflettendo le sfide e le opportunità proprie di ciascun periodo storico. Mentre i Boomer affrontavano la depressione in modo più riservato, i Millennial hanno contribuito a normalizzare la discussione sulla salute mentale e la Gen Z è la più attiva nel cercare cambiamenti a livello sociale per migliorare la salute mentale. Dalle proteste contro il cyberbullismo alla richiesta di risorse di supporto nelle scuole, questa generazione si impegna a creare ambienti più sicuri e inclusivi per affrontare le sfide della depressione.

L’intervista è stata rivolta ad un piccolo gruppo di quindici soggetti (cinque per fascia di età) che non hanno mai ricevuto diagnosi per depressione. Ad essi è stato chiesto di rispondere alla domanda “cosa è la depressione?” senza usare nessun mezzo per reperire informazioni. Alcuni Boomer hanno risposto alla domanda definendo la depressione come “un insieme di stati d’animo che ti inducono a sentirti sempre scontento” o “una malattia grave che può colpire chiunque”. La loro retorica parla di una malattia che colpisce dall’esterno, aggiungono inoltre “solo chi la ha avuta può spiegare cosa sia”. I Millennial intervistati, invece, usano metafore chiamando la depressione “mostro”, una “fiamma piccola piccola” o un “buco nero”, mentre altri si concentrano sul senso di “perdita di identità” e “fiducia in sé stessi”, elementi fondanti del senso di incertezza che caratterizza di base questa generazione. Dalle interviste degli esponenti della Gen Z emerge come essi interpretino la depressione come “un’alterata percezione della realtà” e un “senso di smarrimento” o “perdita di stimolo”; le loro definizioni hanno termini più tecnici e come ci si aspetta, guardano al futuro.


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