Depressione e diabete: la ricerca di una via comune per le terapie farmacologiche

La depressione è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle principali cause di disabilità globale ed è spesso associata al diabete di tipo 2. Tale comorbidità risulta in una ridotta qualità della vita e in un’elevata compromissione delle attività quotidiane dei soggetti affetti. Un numero crescente di prove supporta quest’associazione bidirezionale tra diabete e depressione e pare essere la risultante di complesse interazioni tra fattori cerebrali e sistemici.

Alcuni studi sperimentali hanno riportato una riduzione del comportamento depressivo, sia in assenza che in presenza di diabete, collegata alla terapia con tradizionali ipoglicemizzanti quali insulina, gliburide, metformina, pioglitazone, vildagliptin e liraglutide. Una recente metanalisi ha inoltre concluso che gli agonisti del recettore GLP-1 possono alleviare i sintomi depressivi nei pazienti adulti affetti da diabete mellito di tipo 2 e un altro studio ritiene che i tiazolidinedioni possano esercitare azioni antidepressive farmacologicamente rilevanti.

Recentemente è stato ipotizzato che l’attività antidepressiva svolta dagli antidiabetici possa essere mediata dalla riduzione del livello di glucosio nel sangue, dal miglioramento dello stress ossidativo centrale e dall’infiammazione, dalla regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Sono però al momento soltanto ipotesi poiché il meccanismo d’azione sottostante non è stato ancora chiarito.

Tuttavia, si cominciano a prendere in considerazione potenziali target, sia per un riposizionamento dei farmaci già esistenti sia per la creazione di nuovi farmaci. Ne è un esempio l’attivazione centrale dell’AMPK, un enzima chiave per la gestione energetica e per l’insorgenza di psicopatologie, che potrebbe essere potenzialmente utilizzata per alleviare i sintomi depressivi a livello centrale e quelli diabetici a livello periferico.

Anche la stimolazione dei recettori del GLP-1 sembra essere tra le vie più promettenti: ha mostrato effetti sulle funzioni mitocondriali, sulla neuro-infiammazione, sulla plasticità sinaptica, sull’apprendimento e sulla memoria in molteplici modelli sperimentali. Inoltre, la liraglutide somministrata ad animali diabetici ha dimostrato effetti neuroprotettivi e ansiolitici; in un modello animale con diabete di tipo 1 ha invece mostrato effetti antidepressivi. Pare inoltre che la stimolazione acuta dei recettori del GLP-1 influisca sul turnover della serotonina e sull’espressione dei suoi recettori a livello dell’amigdala. 

Anche la metformina è stata ampiamente studiata, poiché viene spesso utilizzata off-label in ambito psichiatrico per contrastare l’aumento di peso dovuto all’assunzione di antipsicotici e antidepressivi. Questo farmaco ipoglicemizzante migliora i comportamenti depressivi agendo sui livelli di BDNF tramite l’acetilazione dell’istone mediata da AMPK/CREB.

È stato anche dimostrato che la metformina migliora la memoria e le funzioni di apprendimento nei ratti. Purtroppo però gli studi clinici riportano dati contrastanti: se infatti uno studio di coorte ha mostrato il potenziale effetto antidepressivo della metformina in pazienti con sindrome dell’ovaio policistico, una recente meta-analisi non ha riscontrato alcun effetto positivo sull’insorgenza della depressione.

A causa dell’insufficiente risposta terapeutica dei pazienti ai farmaci antidepressivi disponibili, il riposizionamento dei farmaci ipoglicemizzanti potrebbe diventare un nuovo valido approccio per migliorare il trattamento farmacologico della depressione. Tuttavia, visto le informazioni ancora incerte ad oggi disponibili, sono necessari ulteriori studi per confermare questi promettenti risultati preliminari e caratterizzare adeguatamente il problema nella popolazione depressa.


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