Mi chiamo Stefano e sto frequentando l’ultimo anno del dottorato in Scienze Farmacologiche Biomolecolari, Sperimentali e Cliniche. In questo post, ho deciso di raccontarvi una parte della mia attività di ricerca che riguarda l’ischemia cerebrale, una malattia neurologica causata dall’interruzione del flusso sanguigno in una determinata area del cervello. Ciò comporta conseguenze drammatiche per la zona colpita che, non avendo più accesso alle sostanze nutritive e all’ossigeno trasportati dal sangue, va inevitabilmente incontro a necrosi.
L’ischemia cerebrale rappresenta una delle principali cause di morte e disabilità permanente nel mondo e, purtroppo, le terapie attualmente disponibili si limitano al ripristino della perfusione sanguigna dell’area interessata, attraverso l’utilizzo di trattamenti trombolitici o l’applicazione chirurgica di appositi stent. Tuttavia, questi approcci sono efficaci soltanto se eseguiti nelle ore immediatamente successive all’evento ischemico ed inoltre non sono in grado di ripristinare la funzionalità delle aree ormai compromesse, lasciando spesso i soggetti colpiti da un attacco ischemico con importanti deficit neurologici permanenti. Per questo motivo, è importante poter disporre di terapie rigenerative in grado di riparare le lesioni ischemiche e favorire il recupero funzionale.
Le ricerche che ho condotto per questo studio si inseriscono nell’ambito di un progetto finanziato da Fondazione Cariplo che, come descritto in un precedente post, si è posto l’obiettivo di chiarire i meccanismi di comunicazione fra microglia e precursori oligodendrocitari, in un modello sperimentale di ischemia cerebrale, al fine di individuare nuove strategie di riparazione del tessuto cerebrale.
I precursori oligodendrocitari o OPC sono cellule che in condizioni fisiologiche si trovano in uno stato quiescente all’interno del nostro cervello. Tuttavia, in risposta a una lesione, come ad esempio quella ischemica, gli OPC sono in grado di attivarsi prontamente e di intraprendere un processo di maturazione con lo scopo di generare nuovi oligodendrociti per ricostruire la guaina mielinica danneggiata durante il danno. La mielina è una struttura fondamentale per una corretta trasmissione degli impulsi nervosi e la sua ricostruzione è importante per preservare l’integrità dei neuroni e garantire il recupero funzionale.
Nonostante questo meccanismo di riparazione si inneschi spontaneamente, gli OPC non riescono a ricostruire la mielina in modo efficiente. Come già descritto in un precedente post, diverse evidenze suggeriscono che alla base del fallimento di questi processi riparativi vi sia un ambiente circostante ostile, caratterizzato da un’elevata risposta infiammatoria sostenuta dalla microglia, le cellule immunitarie residenti del sistema nervoso centrale. Per questo motivo, comprendere in che modo la microglia sia in grado di interferire con la riparazione del tessuto cerebrale promossa dagli OPC potrebbe fornire spunti interessanti per future strategie terapeutiche.
Su queste basi, abbiamo deciso di analizzare come l’attivazione delle cellule microgliali si sviluppa nei giorni successivi all’insulto ischemico in un modello di ischemia cerebrale, concentrandoci sull’impatto di queste cellule immunitarie sulla risposta degli OPC al danno. I risultati di queste analisi hanno chiarito che questa risposta infiammatoria si compone di due diverse fasi.
Durante la fase iniziale, pochi giorni dopo il danno ischemico, la microglia svolge un ruolo benefico, favorendo l’attivazione ed il reclutamento degli OPC ai margini della lesione e preservando la guaina mielina attorno agli assoni. A stadi tardivi, invece, la microglia perde le funzioni protettive e acquisisce un fenotipo senescente, simile a quello osservato durante l’invecchiamento fisiologico, che non facilita più, ma addirittura ostacola, un’efficiente rimielinizzazione.
Intervenire quindi su quest’ultima fase, ripristinando le funzioni benefiche della microglia, potrebbe essere importante per la rigenerazione della mielina nell’area danneggiata.
A questo proposito, l’utilizzo di vescicole extracellulari (EVs) rilasciate da microglia con fenotipo pro-rigenerativo potrebbe rappresentare una valida strategia terapeutica in quanto, come già evidenziato in un altro studio, precedentemente descritto su RicercaMix, queste particelle contengono una miriade di segnali molecolari, in grado di influenzare positivamente le cellule bersaglio.
Questa ipotesi è stata confermata anche nel nostro studio, in cui dimostriamo che l’infusione intracerebrale di EVs prodotte da microglia benefica, in prossimità della lesione ischemica, è in grado di ripristinare le funzioni protettive della microglia presente nell’area danneggiata e di favorire la completa maturazione degli OPC, con particolare riferimento a quelli che esprimono il recettore GPR17. Questi effetti si traducono in un aumento della rimielinizzazione e in un recupero funzionale dopo ischemia.
Nonostante questi risultati siano molto promettenti, diversi sono gli aspetti ancora da studiare. In particolare, l’identificazione dei segnali molecolari trasportati dalle EVs microgliali e coinvolti nei loro effetti benefici, su cui stiamo attualmente lavorando, potrebbe aiutarci a individuare i componenti più attivi da utilizzare come agenti terapeutici per terapie rigenerative, potenzialmente utili non solo per l’ischemia cerebrale, ma anche per altre malattie neurodegenerative caratterizzate da degenerazione della mielina.
Raffaele S et al., Molecular Therapy 2020. Microglial vesicles improve post-stroke recovery by preventing immune cell senescence and favoring oligodendrogenesis., https://doi.org/10.1016/j.ymthe.2020.12.009. La ricerca è stata svolta in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino, l’Istituto di Neuroscienze del CNR di Milano e l’Università degli Studi di Urbino.
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