I macrofagi nel morbo di Parkinson: un nuovo target terapeutico?

Sono Federica Mornata e, dopo la laurea in Farmacia nel 2016 ed uno stage in un centro di ricerca di un’importante azienda farmaceutica italiana, attualmente sono al termine del primo anno di Dottorato in Scienze Farmacologiche, Sperimentali e Cliniche presso il DiSFeB. Prima di iniziare a raccontarvi del mio progetto di ricerca vorrei invitarvi a pensare a quante persone conoscete direttamente o indirettamente che combattono con la malattia di Parkinson. Questa patologia infatti è la seconda malattia neurodegenerativa al mondo per incidenza ed è caratterizzata dalla perdita selettiva di neuroni preposti al controllo dei movimenti, determinando sintomi motori quali tremore a riposo, rigidità e bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici).

La malattia è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Un aspetto interessante della patologia è la sua diversa prevalenza nei due sessi (gli uomini ne sono colpiti per il 50% in più) ed anche la progressione della malattia è differente tra uomini e donne: nei primi, infatti, sono colpite soprattutto le capacità di comprensione e di ragionamento, mentre nel genere femminile sono più frequenti ansia e depressione.

Attualmente le cause della malattia di Parkinson non sono note, ma sembra che diversi fattori (genetici, ambientali, esposizione ad agenti tossici) concorrano al suo sviluppo. Purtroppo, non esiste ad oggi una cura per la malattia e gli unici trattamenti disponibili sono di tipo sintomatico. Con questa breve introduzione spero di aver reso chiare l’importanza e la necessità di trovare nuovi approcci che aiutino a comprendere i meccanismi della malattia e che ci avvicinino a una sua cura.

Una delle caratteristiche distintive del morbo di Parkinson è la forte componente infiammatoria, che gioca in effetti un ruolo chiave; la risposta immunitaria che si instaura a seguito della degenerazione neuronale determina la sintesi di mediatori neurotrofici ma, d’altra parte, una sua attivazione incontrollata causa la produzione di sostanze tossiche che peggiorano ulteriormente il quadro patologico, determinando un circolo vizioso che si auto amplifica. Studiare i meccanismi infiammatori associati alla patologia di Parkinson rappresenta una promettente strategia per trovare nuovi bersagli di terapia.

Il laboratorio in cui sto svolgendo il mio percorso di dottorato, coordinato dalla Prof.ssa Elisabetta Vegeto e sotto la supervisione della Prof.ssa Adriana Maggi, da anni si occupa dei meccanismi molecolari responsabili delle differenze di genere nell’omeostasi dei tessuti. In particolare, studiamo la via di comunicazione esistente fra gli ormoni sessuali femminili, gli estrogeni, e le cellule che controllano il normale funzionamento dei tessuti, cioè i macrofagi, dimostrando che queste cellule assumono caratteristiche antinfiammatorie e rigenerative in risposta agli estrogeni.

Lo scopo del mio progetto di ricerca è studiare la reattività del macrofago attivato dal fenomeno infiammatorio causato alla morte neuronale e capire come questa relazione possa modificare il decorso della patologia, comparando i risultati ottenuti in maschi e femmine con lo scopo di trovare nuovi target per il trattamento del morbo di Parkinson.


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