Le vescicole extracellulari nella demenza frontotemporale e nella sclerosi laterale amiotrofica: due facce di una stessa medaglia

Sono Elena Casarotto, dottoranda al terzo anno di dottorato in Scienze Farmacologiche Biomolecolari, Sperimentali e Cliniche. Lavoro nel laboratorio di Biologia Applicata del DiSFeB e, grazie al supporto della Fondazione Cariplo e del MIUR, in questi anni mi sono occupata dello studio delle vescicole extracellulari e del loro ruolo in due malattie neurodegenerative, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la demenza frontotemporale (FTD).  

La SLA e la FTD sono due malattie dell’adulto caratterizzate dalla perdita di specifici gruppi di neuroni. Entrambe le malattie hanno in comune la neuro degenerazione progressiva, che si manifesta a partire da specifici neuroni e si diffonde poi in un’area più estesa, e la presenza, nelle cellule malate, di accumuli anomali di proteine mal ripiegate, tossiche per la cellula. Questi due aspetti sono direttamente correlati, poiché è stato dimostrato che le proteine mal ripiegate possono essere trasmesse da una cellula all’altra, con un meccanismo simile a quello osservato nelle malattie prioniche, contribuendo quindi alla diffusione della malattia.

Una via di trasmissione delle proteine tossiche sembra essere rappresentata dalle vescicole extracellulari (EV), piccole sfere lipidiche naturali, prodotte e rilasciate da tutte le cellule. Le EV contengono proteine lipidi ed acidi nucleici (tra cui mRNA, miRNA, ncRNA) e, viaggiando nei fluidi biologici, possono trasportare e rilasciare il loro contenuto a cellule vicine, ma anche lontane. Diversi studi hanno dimostrato che le vescicole che viaggiano nel sangue dei pazienti SLA e FTD hanno un contenuto diverso sia in proteine che in RNA, rispetto alle vescicole dei soggetti sani. 

Perché in condizione di malattia le cellule rilasciano vescicole differenti, quali sono i meccanismi che regolano questo rilascio? 

Per trovare risposta a queste domande, insieme al mio gruppo di ricerca ho analizzato il contenuto delle vescicole extracellulari ottenute da modelli cellulari di SLA e FTD e da pazienti FTD. 

I risultati ottenuti, anticipati nel mio post precedente, dimostrano che le EV agiscono come spazzini cellulari. Esse, infatti, contengono le forme tossiche della proteina TAR-DNA binding protein 43 (TDP-43), una proteina che in condizioni normali è localizzata nel nucleo ma che nelle cellule malate cambia conformazione e delocalizza nel citoplasma, dove viene tagliata in parti più piccole che hanno la tendenza ad unirsi e a formare delle strutture chiamate aggregati che devono essere eliminati, altrimenti diventano tossici per la cellula. 

Le specie tossiche di TDP-43 generalmente vengono rimosse attraverso il sistema di controllo della qualità delle proteine (PQC), un meccanismo intracellulare che si occupa della degradazione delle proteine danneggiate e/o mal ripiegate, e la loro presenza nelle vescicole dimostra quindi anche l’esistenza di una possibile collaborazione tra PQC e EV. Collaborazione ulteriormente confermata dalla presenza delle proteine del PQC all’interno delle vescicole e dall’aumento della secrezione di TDP in seguito al blocco del PQC.

Negli ultimi mesi, ci siamo concentrati anche sull’analisi del contenuto in microRNA delle EV. I microRNA sono piccole molecole di RNA non codificanti che hanno la funzione di controllare la produzione di decine o centinaia di proteine diverse, coinvolte in svariati pathway cellulari. In particolare, siamo andati a valutare il contenuto di microRNA delle vescicole ottenute da NSC34 non trattate e trattate con due composti in grado di inibire i due principali meccanismi di degradazione del PQC, il proteasoma e l’autofagia.

L’analisi effettuata ha permesso di evidenziare la presenza di ben 91 microRNA differenzialmente espressi nelle vescicole ottenute da cellule non trattate rispetto a quelle ottenute da cellule trattate. In particolare, abbiamo osservato che la maggior parte di questi microRNA si trovano nelle EV di dimensioni più piccole e che hanno come principale target i geni associati alle malattie prioniche. Questo risultato dimostra quindi che le EV non svolgono solo il ruolo di spazzini cellulari ma che sono in grado di contribuire effettivamente alla diffusione della malattia da cellule malate a cellule sane.

In conclusione, i risultati ottenuti fino ad ora, da un lato, confermano il potenziale ruolo negativo delle EVs nella trasmissione della malattia, contemporaneamente però dimostrano che le EVs hanno un ruolo protettivo per le cellule malate, che sfruttano il loro rilascio per eliminare le proteine tossiche. Ulteriori studi sono in corso per chiarire questo duplice ruolo delle EV. 

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