Perché fare ricerca?

Oggi vorrei aprirmi con voi e raccontarvi il perché faccio ricerca nonostante non sia tutto così facile, mi spiego meglio…

Tutti voi seguendoci avete imparato a scoprire la “parte bella” del nostro lavoro: la soddisfazione di quando vinciamo un finanziamento o di quando pubblichiamo un articolo scientifico. L’emozione e la sfida di quando iniziamo una nuova sperimentazione, la gioia di quando confermiamo le nostre ipotesi con esperimenti, di quando riusciamo ad eseguire tecniche più complesse.

Diciamo che la parte bella è quella che, giustamente, viene sempre raccontata da tutti. Tuttavia, questo “lavoro” ha anche degli aspetti negativi che spesso tendiamo a celare come ad esempio l’incertezza e la precarietà oppure le delusioni che accumuliamo durante il nostro percorso che a volte risultano essere disincentivanti.

La precarietà è l’elemento ricorrente del ricercatore in Italia… ci si abitua e non ci si pensa si cerca di vivere al massimo l’esperienza emozionandosi per ogni nuova sfida intrapresa ma, con il passare del tempo e degli anni, tutto risulta meno semplice. La carriera universitaria è molto competitiva e i posti sono pochi soprattutto quando la” piramide si stringe” e quindi molte volte si rimane delusi dall’andamento delle cose. A volte le posizioni precarie non consentono di applicare a grant in qualità di principal investigator e quindi anche questo aspetto complica le cose. Insomma, a volte potremmo pensare che la scelta più semplice sarebbe mollare e percorrere altre strade; ma poi mi chiedo perché mollare quando si ha privilegio di fare il lavoro che piace/ appaga? È bene resistere, combattere, applicare quanti più grant possibili e perseguire i nostri obiettivi sperando che qualche Ente finanziatore finanzi le nostre idee!


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