Rischio cardiovascolare, metabolismo e scompenso cardiaco: più prospettive per una sola proteina

Nell’iniziare a scrivere questo post, mi sono imbattuto in questa citazione:

“Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso.”

(Robin Williams ne “L’attimo fuggente”)

L’argomento del nostro progetto finanziato da Fondazione Cariplo, volto a investigare la relazione tra l’inibizione della proteina PCSK9 (Proprotein Convertase Subtilisin Kexin Type-9), alterazioni nel metabolismo cellulare e lo scompenso cardiaco, potrebbe rappresentare un esempio di quanto appena citato.

Recentemente la ricerca clinica ha con successo portato sul mercato nuovi approcci terapeutici per il trattamento dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare. Si tratta di farmaci che agiscono contro i livelli circolanti di questa proteina, fisiologicamente attiva nell’impedire il sequestro da parte del fegato (e, quindi, l’abbassamento dei livelli sanguigni) del colesterolo LDL (il famigerato “colesterolo cattivo”) e dei trigliceridi. Dalla scoperta della proteina (intorno al 2003), in soli dieci anni abbiamo assistito a uno dei più rapidi sviluppi per l’immissione sul mercato di una nuova terapia farmacologica, che si presenta come valore aggiunto a quella ormai consolidata, basata sulle statine.

È indubbia l’efficacia di questi trattamenti che, da recentissimi risultati, ridurrebbero anche l’elevata mortalità che contraddistingue i pazienti affetti da queste malattie. Eppure, proprio provando a posizionarci su una prospettiva differente, ecco che possiamo apprezzare nuovi spunti.

Sappiamo, infatti, che non soltanto il fegato assorbe colesterolo e trigliceridi, bensì anche altri tessuti chiave per il metabolismo dell’organismo, come tessuto adiposo e cuore.

Va da sé chiedersi se inibire PCSK9 si associ a un diverso management dei lipidi in tessuti periferici e, pertanto, a una loro alterata funzionalità. Abbiamo recentemente osservato che un gruppo ristretto di soggetti portatori di una mutazione sul gene di questa proteina (che ne riduce i livelli nel sangue) da una parte erano protetti dal colesterolo cattivo, dall’altra erano più obesi e mostravano, in particolare, una ridotta funzionalità cardiaca. Queste osservazioni sono state riscontrate attraverso l’attività clinica dell’ambulatorio di dislipidemie del Centro SISA (Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi), presso l’Ospedale Bassini di Cinisello Balsamo, ampiamente attivo in questo settore.

È anche da sottolineare che questo nostro riscontro non sembra essere isolato in quanto successivi studi hanno poi confermato che la riduzione del colesterolo cattivo prodotta da mutazioni di questa proteina si associ a differenti alterazioni del metabolismo delle cellule.

Pertanto, possiamo concludere che l’inibizione farmacologica di PCSK9 possa comportare questi medesimi “effetti collaterali”?

Ancora studiando la questione da un’altra prospettiva, ci si chiede se questa proteina possa invece essere un bersaglio anche per il trattamento di altre malattie come lo scompenso cardiaco, una patologia cronica frequente nelle decadi più avanzate di età della popolazione e nei pazienti a elevato rischio cardiovascolare. Se così fosse, questo aprirebbe una potenzialità terapeutica per il 10% (in aumento) dei pazienti oltre i 70 anni che oggigiorno  sono affetti da insufficienza cardiaca (https://www.cdc.gov/dhdsp/data_statistics/fact_sheets/fs_heart_failure.htm).

Per giungere a queste conclusioni, rimane ancora molto da chiarire e il nostro progetto è indirizzato verso questa direzione, mescolando aspetti sperimentali (modelli in vitro) con altri più traslazionali (osservazioni sull’uomo).

Capire se l’inibizione di questa proteina possa modificare il metabolismo di cellule che utilizzano i lipidi come principale fonte di energia (in particolare quelle cardiache), non soltanto aprirebbe la strada a nuove possibilità di indagine ma permetterebbe anche di porre le basi per trattamenti farmacologici ancora più specifici, ampliando le possibilità di ridurre il rischio cardiovascolare globale.


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