Sclerosi laterale amiotrofica: ruolo dell’autofagia e del complesso CASA nel contrastare la neurodegenerazione

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa dell’età adulta che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose responsabili del controllo dei movimenti. Nel tempo, la degenerazione dei motoneuroni porta i pazienti affetti da SLA a perdere progressivamente la capacità di muoversi, determinandone la morte per insufficienza respiratoria. Ciò generalmente avviene entro cinque anni dalla comparsa dei primi sintomi della patologia.

Le cause alla base dell’insorgenza della SLA non sono ancora state del tutto decifrate. La maggior parte dei casi di SLA ha un’insorgenza sporadica, cioè non legata ad una storia familiare di malattia. Solo il 10% dei pazienti è affetto da una forma ereditaria, pertanto legata a mutazioni genetiche che determinano la trasmissione della patologia da una generazione all’altra. La prima mutazione identificata come causa di una forma di SLA familiare è stata individuata nel 1993 e da allora più di 40 geni sono stati associati alla malattia. Tuttavia, per il 30% circa delle forme familiari di SLA il gene responsabile della patologia rimane ancora ignoto.

I geni mutati nella SLA producono proteine che sono diverse tra di loro per ruolo e struttura, ma che al tempo stesso prendono parte a meccanismi cellulari comuni. È curioso notare come gli stessi processi possano risultare alterati anche nei casi sporadici di SLA, indipendentemente dalla presenza di mutazioni, suggerendo che le due forme della malattia condividano almeno in parte i fattori eziologici. Nonostante negli ultimi 30 anni siano stati fatti numerosi passi avanti nella comprensione delle basi molecolari della SLA, attualmente non esiste ancora una terapia efficace per contrastarla ed essa resta pertanto una patologia incurabile.

Una delle caratteristiche comuni alle forme sporadiche ed ereditarie di SLA è la presenza di aggregati proteici tossici all’interno dei motoneuroni che degenerano. Nella vasta maggioranza dei casi sporadici di SLA, tali aggregati sono formati dalla proteina TDP-43, il cui ruolo nella malattia è già stato discusso in precedenti post su questo blog. Nei casi familiari di SLA, gli aggregati possono essere formati anche dalle proteine prodotte a partire dagli stessi geni mutati: a causa della variazione nella loro sequenza prodotta dalla mutazione, tali proteine non sono in grado di assumere la loro corretta conformazione tridimensionale, richiesta per lo svolgimento delle loro funzioni, ma si ripiegano in modo errato, esponendo residui amminoacidici idrofobici che le portano ad aggregare tra loro nell’ambiente acquoso citoplasmatico.

In entrambi i casi, gli accumuli proteici che si formano sono inizialmente piccoli e solubili e possono essere eliminati dai sistemi degradativi cellulari. Man mano che il carico di proteine mal ripiegate aumenta, però, la capacità dei sistemi degradativi viene saturata, così che gli aggregati crescono di dimensioni, fino a diventare delle inclusioni insolubili irreversibili che interferiscono con il corretto funzionamento dei motoneuroni, portandoli a morte cellulare.

Il principale sistema degradativo cellulare coinvolto nell’eliminazione degli aggregati associati alla SLA è l’autofagia. In questo processo, intere porzioni di citoplasma contenenti i substrati da degradare vengono incluse in particolari vescicole a doppia membrana dette autofagosomi. Questi ultimi si fondono poi con i lisosomi, organelli contenenti enzimi in grado di ridurre il contenuto degli autofagosomi in piccole molecole riutilizzabili nelle reazioni metaboliche cellulari. Nei neuroni, che non sono in grado di duplicarsi e devono sopravvivere lungo tutto l’arco della vita di un organismo, l’autofagia ricopre un ruolo essenziale nell’eliminazione di qualsiasi forma di materiale potenzialmente dannoso per la cellula, dagli organelli obsoleti alle proteine mal ripiegate. Non a caso, molte mutazioni associate a malattie neurodegenerative ed in particolare alla SLA colpiscono proprio geni che codificano proteine coinvolte nella via autofagica.

Un esempio è rappresentato dal gene sequestosome-1 (SQSTM1), che codifica per il recettore autofagico p62, coinvolto nel riconoscimento dei substrati da eliminare: mutazioni di SQSTM1 associate alla SLA determinano un accumulo di autofagosomi immaturi, incapaci di fondersi con i lisosomi e tossici per i motoneuroni.

L’autofagia è un processo degradativo complesso, che si articola in diverse vie. Tra di esse spicca per l’importanza ricoperta nel contrastare l’accumulo di proteine mal ripiegate nei motoneuroni quella mediata dal complesso CASA (chaperone-assisted selective autophagy). Questa via autofagica si basa sul riconoscimento selettivo dei substrati da degradare, processo nel quale gioca un ruolo fondamentale la proteina HSPB8, da anni oggetto di studio nel Laboratorio di Biologia Applicata del DiSFeB.

Una volta identificate le proteine da eliminare, HSPB8 è in grado di promuoverne l’ingresso nell’autofagosoma con l’ausilio degli altri fattori del complesso CASA e del recettore autofagico p62 precedentemente menzionato. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno evidenziato l’importanza di HSPB8 e del complesso CASA nel promuovere la degradazione di proteine mal ripiegate associate non solo alla SLA, ma anche ad altre patologie neurodegenerative, quali la malattia di Huntington e l’atrofia muscolare spinobulbare.Il potenziamento della via autofagica mediata dal complesso CASA è una delle numerose strategie terapeutiche attualmente in studio per il trattamento della SLA.

Un esempio di farmaco agente sul complesso CASA è rappresentato dalla colchicina, una molecola in grado di promuovere la trascrizione del gene codificante per HSPB8 nei motoneuroni. L’azione della colchicina determina un aumento dei livelli proteici di HSPB8, che a sua volta promuove la degradazione mediata dal complesso CASA degli aggregati proteici dannosi per le cellule. La colchicina è attualmente oggetto di uno studio clinico di fase II su un gruppo di pazienti affetti da SLA.

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