Sindrome post-finasteride: malattia rara o solamente la punta di un iceberg?

In una società fortemente edonistica, fondata sulla ricerca della perfezione e sull’ossessione di soddisfare precisi canoni di bellezza, ognuno di noi tenta e prova ad omologarsi, anche inconsciamente, a quello che ci indica la collettività. 

Già per la mitologia i capelli erano considerati uno strumento di bellezza, forza e potere ed è forse questa simbolica accezione che li rende così preziosi. La preoccupazione per la potenziale perdita di capelli è palpabile, specialmente considerando che colpisce entrambi i sessi, con una predominanza dell’80% negli uomini. La calvizie in un uomo può essere precoce e comparire in giovane età quando i livelli di diidrotestosterone (metabolita attivo del testosterone) sono molto elevati nei ragazzi. Questo ormone, oltre ad avere un ruolo importante nel controllo fisiologico di molti tessuti periferici e nella funzionalità del sistema nervoso, in questo contesto svolge un ruolo cruciale poiché è responsabile dell’atrofizzazione e miniaturizzazione del bulbo pilifero portando alla perdita del capello.

La calvizie è una condizione patologica caratterizzata dalla perdita parziale o totale dei capelli

Sono state proposte molte strategie per il trattamento della calvizie o alopecia androgenetica, tra questi un farmaco a base di finasteride. La finasteride, principio attivo del Proscar o Propecia, è un farmaco approvato dalla Food and Drug Administration nel 1992 per curare l’iperplasia prostatica benigna e nel 1997 approvata anche per trattare l’alopecia androgenetica per la quale si è dimostrato molto efficace. Tuttavia, sfortunatamente, in alcuni casi l’assunzione e trattamento cronico con questo farmaco può causare una serie di effetti collaterali che incidono sulla sfera emotiva, psicologica e sessuale. Ansia, depressione, disfunzione sessuale, incapacità di avere un rapporto e diminuzione della libido sono alcuni dei sintomi riportati da coloro che assumono il farmaco. Di fronte a questi effetti collaterali, molti pazienti sono costretti a interrompere la terapia. 

Sorprendentemente però alcuni pazienti anche a distanza di anni dalla sospensione del farmaco presentano ancora persistenza degli effetti collaterali, un fenomeno noto come “Sindrome Post-Finasteride (PFS)”. Questa condizione ha un impatto significativo sulla vita dei pazienti, tanto da spingere alcuni a compiere gesti estremi, come il suicidio.

È comunque fondamentale sottolineare che la percentuale dei pazienti PFS è relativamente bassa rispetto alla totalità dei pazienti che assumono la finasteride. Tuttavia, la domanda cruciale che sorge è: come mai solo il 3-5% degli uomini sottoposti a questo trattamento sviluppano gli effetti avversi e persistenti? 

Il laboratorio guidato dal Cosimo Melcangi ha dedicato anni allo studio di questa sindrome, sostenendo l’idea che alcuni individui possano avere una predisposizione e sensibilità diversa al farmaco.  

D’altro canto però si potrebbe anche pensare ad una sottostima della prevalenza della PFS dal momento che è classificata come malattia rara e risulta inoltre poco conosciuta. Inoltre, la natura delicata e sensibile del tema rende estremamente difficile denunciare l’insorgenza degli effetti collaterali, specialmente quando riguardano la sfera sessuale.

Stiamo forse solo raschiando la punta di un iceberg? 

Urge quindi un impegno continuo nello studio della PFS per cercare di comprendere gli effetti scatenanti e cercare di migliorare la vita dei pazienti PFS.

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