Statine e funzione cognitiva

Sono Elena Olmastroni, dottoranda iscritta al terzo anno di Scienze Farmacologiche Biomolecolari, Sperimentali e Cliniche. Svolgo la mia attività di ricerca presso il Servizio di epidemiologia e farmacologia preventiva (SEFAP) dell’Università degli Studi di Milano dove, oltre che portare avanti il mio progetto di dottorato, mi occupo di epidemiologia e della conduzione di meta-analisi. Le statine rappresentano attualmente la terapia farmacologica di prima linea per il trattamento dell’iperlipidemia nella prevenzione primaria di malattie coronariche e nella prevenzione secondaria dei principali eventi cardiovascolari. Nell’ultimo decennio, la mortalità e la morbilità cardiovascolare si sono significativamente ridotte grazie proprio all’uso di statine. 

I potenti effetti sul profilo lipidico hanno portato le statine ad essere tra i farmaci maggiormente prescritti in tutto il mondo, tanto che da diversi anni la comunità scientifica si è chiesta se questi farmaci abbiano anche effetti sull’organismo, al di là di quelli legati alla riduzione del colesterolo. Uno degli ambiti indagati è certamente quello neurologico.

Numerosi studi, nel tempo, hanno suggerito un ruolo protettivo delle statine nei confronti della demenza e dell’Alzheimer; altri, viceversa, hanno negato eventuali correlazioni positive con l’incidenza di queste patologie, arrivando in alcuni casi a suggerire possibili effetti negativi. In seguito ad alcune segnalazioni di perdita della memoria dopo assunzione di statine, nel 2012 la Food and Drug Administration, negli USA, ha disposto una modifica del foglietto illustrativo delle statine, rendendo obbligatoria l’indicazione di potenziali effetti collaterali di tipo cognitivo nel breve periodo.

La relazione tra utilizzo di statine e deterioramento cognitivo è tuttavia ancora oggetto di intenso dibattito, ma i risultati degli studi condotti finora rimangono inconcludenti. L’importanza di fare chiarezza su questo argomento deriva anche dal fatto che le preoccupazioni riguardanti gli effetti collaterali delle statine sul deterioramento cognitivo potrebbero influenzare la decisione del medico di prescrivere una statina a pazienti anziani affetti da malattia aterosclerotica o a rischio di malattia cardiovascolare (soggetti ad alto rischio per i quali le statine possono rappresentare dei farmaci “salvavita”). Allo stesso modo, se venisse confermato il rischio di eventi avversi, al momento della prescrizione del farmaco, il paziente dovrebbe ricevere informazioni certe sugli eventuali possibili effetti indesiderati e su come riconoscerli al loro esordio. Pertanto, all’interno del nostro gruppo di ricerca abbiamo deciso di valutare sistematicamente le evidenze ad oggi disponibili riguardo la relazione tra l’utilizzo di statine e funzione cognitiva per capire, in particolare, se le statine rappresentino un fattore di rischio per lo sviluppo di demenza e/o della malattia di Alzheimer, oppure se esse svolgano una funzione protettiva nei confronti dell’insorgenza di queste patologie.

A tal fine è stata effettuata una meta-analisi di dati provenienti da diversi studi di tipo osservazionale per poterne combinare i risultati, nel tentativo di trarre conclusioni più solide di quelle emerse sulla base di ogni singolo studio.

La meta-analisi di 36 studi osservazionali ha evidenziato che l’uso di statine risulta associato ad una riduzione del rischio di demenza del 20%. La riduzione del rischio diventa ancora più marcata quando viene considerata la malattia di Alzheimer come outcome dell’analisi (21 studi inclusi): in questo caso abbiamo osservato una significativa riduzione del 32% del rischio di malattia tra i due gruppi in studio (utilizzatori vs non uso). Nell’analisi stratificata per sesso dei pazienti, non è stata osservata alcuna differenza per quanto riguarda la riduzione del rischio di demenza tra uomini e donne. Da analisi aggiuntive è emerso inoltre che, a differenza di quanto suggerito da lavori precedenti, l’efficacia delle statine lipofile sembra essere comparabile, in termini di riduzione del rischio sia di malattia di Alzheimer che di demenza, rispetto all’esposizione a statine idrofile. Inizialmente, infatti, alcuni studi sembravano suggerire che la lipofilia della molecola, caratteristica che ne permette il passaggio attraverso la barriera emato-encefalica, e quindi il raggiungimento delle aree cerebrali, fosse un determinante dell’effetto cognitivo. La nostra analisi sembra invece confermare evidenze emerse recentemente in letteratura, che suggeriscono un’efficacia essenzialmente dipendente dalla potenza delle statine prescritta.

Se i dati finora suggeriscono un effetto benefico delle statine in termini di decadimento cognitivo, l’esatto meccanismo con cui le statine esercitano questa funzione protettiva non è ancora stato chiarito, ma potrebbe includere diverse vie fisiopatologiche. In primo luogo, evidenze in modelli animali hanno documentato che le statine sono capaci di diminuire i livelli di colesterolo e di ridurre la formazione della β-amiloide e dei grovigli neurofibrillari, strutture associate allo sviluppo e alla progressione dell’Alzheimer. Un ulteriore meccanismo da prendere in considerazione è il possibile effetto anti-infiammatorio delle statine a livello cerebrale. Le statine potrebbero infine esercitare degli effetti positivi contrastando la disfunzione endoteliale, la quale gioca un ruolo centrale nell’avvio dei processi infiammatori legati all’aterosclerosi.

Allo stato attuale delle ricerche, le evidenze emerse sembrano minimizzare i timori relativi ad un aumento del rischio di declino cognitivo causato dall’esposizione al trattamento con statine. I risultati di questa meta-analisi, però, dovrebbero essere interpretati con cautela, dato che gli studi osservazionali sono caratterizzati da limiti intrinseci, ed è necessario confermare il beneficio osservato in trial randomizzati e controllati, adeguatamente e specificamente progettati, con ampia casistica ed estesi periodi di osservazione.



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