Una nuova frontiera nella cura dell’insufficienza cardiaca cronica

L’insufficienza cardiaca cronica rappresenta una delle principali cause di mortalità, morbilità e consumo di risorse nei paesi occidentali. Secondo le più recenti linee guida, la prevalenza è ad oggi attestata a circa 1-2% della popolazione adulta, questo dato supera il 10% nella popolazione con un’età maggiore di 70 anni e cresce in maniera esponenziale con l’età, raddoppiando a ogni decade, ed è in continuo aumento per l’invecchiamento generale della popolazione.

L’insufficienza cardiaca cronica rappresenta ancora oggi la principale causa di morte nel nostro paese: studi di popolazione in pazienti ambulatoriali mostrano una mortalità intorno al 20-25% a 1 anno e al 50% a 5 anni dalla diagnosi, inoltre nei soggetti sopra i 65 anni di età rappresenta la principale cause di ospedalizzazione. Negli ultimi decenni, nonostante i molteplici tentativi di sviluppare nuovi farmaci per questa patologia, la terapia dell’insufficienza cardiaca è rimasta invariata e i pazienti che ne sono affetti continuano ad avere una prognosi sfavorevole con una mortalità a un anno del 25% nei pazienti ospedalizzati.  

Oggi, la terapia di questa patologia ha subito una rivoluzione grazie ai sorprendenti risultati di un grande trial, il PARADIGM-HF che ha portato all’approvazione del sacubitril/valsartan (Entresto). Questo studio, infatti, ha dimostrato la superiorità di Entresto rispetto ad enalapril, considerato fino ad oggi il gold standard per il trattamento di questa patologia.

Da un lato l’azione di valsartan consente di bloccare l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) che nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, per un meccanismo compensatorio, tende ad essere fortemente attivato. Tuttavia, l’attivazione prolungata di RAAS perde rapidamente il suo iniziale ruolo compensatorio, ma anzi assume una valenza prognostica negativa contribuendo alla progressione dell’insufficienza cardiaca. Sacubitril, invece, consente di bloccare l’azione di uno specifico enzima chiamato Neprilisina (NEP) il quale ha il compito di idrolizzare e quindi inattivare i peptidi natriuretici che mediano dei meccanismi desiderabili in una condizione di insufficienza cardiaca come ad esempio vasodilatazione, inibizione dell’ipertrofia, diuresi, natriuresi e rilassamento miocardico.

Presso due centri italiani di alta specializzazione per la cura dell’insufficienza cardiaca tra cui il Centro Cardiologico Monzino di Milano, abbiamo condotto uno studio in pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica in trattamento con sacubitril/valsartan  a dose massima tollerata, al fine di valutare dopo un periodo di osservazione di circa 104 giorni l’effetto del farmaco sulla stabilità clinica, sui valori dagli esami del sangue, sui dati derivati dall’ecocardiogramma e sulla capacità di compiere un esercizio fisico. Sono stati inclusi in questo studio 29 pazienti nei quali si è osservato da un lato una buona stabilità clinica sia nei valori pressori che negli esami del sangue (funzionalità renale e livelli di potassio); dall’altro lato un netto miglioramento alla valutazione ecocardiografica della frazione d’eiezione,  che è la percentuale di sangue che il cuore espelle nel circolo ad ogni battito cardiaco.

Inoltre, grazie alla valutazione tramite test da sforzo cardiopolmonare si è potuto osservare un miglioramento della capacità funzionale dei pazienti, testimoniato sia da un carico di lavoro massimale (Watt al picco) significativamente più alto, che da un consumo di ossigeno all’apice dello sforzo tendenzialmente, anche se non significativamente, più elevato dopo trattamento con sacubitril/valsartan. Questi interessanti risultati necessitano di ulteriori studi ed una popolazione più ampia per poter chiarire e confermare lo specifico effetto di sacubitril/valsartan sulla capacità d’esercizio. 


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