La sperimentazione clinica: tra progresso scientifico e tutela dei partecipanti

Si racconta che il primo test clinico della storia sia avvenuto nel 1747 sulla nave della corona britannica. Il medico di bordo per scoprire la migliore terapia contro lo scorbuto distribuì vari preparati a gruppi di due pazienti. Uno di questi preparati era un composto di arance e limoni. Solo i due marinai che lo presero guarirono. Questo test fu in grado di identificare la cura più efficace. Dal 1747 le cose sono molto cambiate, ma ora come allora l’unico modo di rispondere alle incertezze dei vantaggi e degli svantaggi dei trattamenti è fare studi clinici.

Iniziamo con qualche definizione. Cosa è una sperimentazione clinica? Uno studio (o trial) clinico è l’insieme di tutte le valutazioni che non riguardano solo nuovi farmaci, ma anche procedure terapeutiche (ad esempio operazioni chirurgiche), prodotti sanitari, dispositivi medici (pacemaker, valvole cardiache, stent, ecc.), uno strumento diagnostico (ad esempio, un esame del sangue) e terapie di nuova generazione (terapie geniche e cellulari). 

Lo svolgimento di uno studio clinico è possibile soltanto dopo che siano state effettuate sperimentazioni precliniche, realizzate in vitro (su cellule) e in vivo (su modelli di laboratorio), necessarie per studiare la farmacologia e la tossicologia del principio attivo contentuto nel farmaco.

Ogni sperimentazione clinica fonderà le sue basi su un protocollo, in cui si descrivono tempi e dosi di somministrazione della medicinale, numero e frequenza di visite di controllo, tipo di analisi da eseguire a ogni visita e ogni altro dettaglio tecnico dello studio: qualsiasi pratica svolta sul paziente dovrà essere specificata nei minimi dettagli nel protocollo.

Ogni protocollo dovrà essere approvato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e dal Comitato Etico relativo all’ospedale nel quale si effettuerà la sperimentazione. Il Comitato Etico, composto da professionisti nell’ambito medico, etico, giuridico e scientifico, è designato per decidere della legittimità della sperimentazione clinica e della sicurezza delle persone che ne prendono parte.

Oltre al protocollo, dovrà essere approvato anche un altro documento fondamentale: il consenso informato, che darà tutte le informazioni necessare ai partecipanti sugli obbiettivi e sulla metodologia della ricerca, sulla durata prevista dello studio, sui benefici, sui rischi prevedibili, sugli effetti indesiderati e sugli altri trattamenti disponibili, ivi compresa l’ipotetica sospensione prematura della sperimentazione. È il documento con cui il paziente autorizza il centro di ricerca ad effettuare lo studio sulla sua persona. È opportuno sottolineare che è sempre garantito il diritto dei pazienti di rifiutarsi di partecipare o di ritirarsi dalla sperimentazione, in qualsiasi momento.

In uno studio clinico, spesso si dividono i pazienti in due gruppi: quello a cui verrà somministrato il nuovo farmaco e quello che funzionerà da controllo e da confronto, a cui verrà somministrato un placebo (un preparato senza nessuna proprietà terapeutica), così da poter capire se il nuovo farmaco sia veramente efficace. Nel caso in cui esista già un farmaco efficace, al gruppo di controllo verrà dato il farmaco già disponibile in commercio. La distribuzione dei pazienti nei due gruppi dovrà essere assolutamente casuale, un po’ come quando si estraggono i numeri di una tombola (randomizzazione), permettendo così di ottenere gruppi omeogenei da confrontare.

Nel trial clinico, di solito, i pazienti non devono sapere se stanno ricevendo il nuovo farmaco o il placebo; nemmeno i medici devono sapere cosa stanno somministrando ai pazienti. Il test deve essere organizzato in modo che tutti siano all’oscuro (in doppio cieco), così da evitare suggestioni o pressioni, anche involontarie, in merito all’efficacia e agli effetti collaterali del nuovo farmaco.

Durante lo studio, le cartelle cliniche dei due gruppi vengono analizzate da un’equipe che non ha partecipato alla sperimentazione, rimanendo totalmente estranea. Questa equipe prende il nome di CRO (contract research organization – organizzazione di ricerca a contratto) e ha la funzione di monitorare il centro clinico, garantendo che tutto sia svolto secondo le buone norme di pratica clinica (in inglese GCP – Good Clinical Practice).

Anche quando la sperimentazione si conclude e il farmaco viene messo in commercio, l’AIFA continua a raccoglierne i dati relativi, così da poter garantire la salute di tutti i cittadini, svolgendo quella che si definisce sorveglianza post-marketing. Per questo motivo è importate continuare a segnalare al proprio medico eventuali nuovi effetti collaterali che non sono indicati nel foglietto illustrativo. Il medico sottoporrà queste segnalazioni ad AIFA, che valuterà se il farmaco comporta nuovi rischi e deciderà se sia il caso di prendere provvedimenti (ad esempio, modifica del modo/tempo di somministrazione o anche ritiro dal mercato).

Tutto questo serve a garantire la certezza di usare farmaci con il massimo livello di sicurezza possibile. La salute dei cittadini va protetta e promossa dal sistema sanitaro e ogni decisione deve basarsi sui risultati della ricerca clinica.

Ilaria Coro
Dipartimento di Scienze cliniche e di comunità


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