La valutazione del rischio cardiovascolare: una partita ancora aperta

Buongiorno a tutti, mi chiamo Ornella Colpani, sono laureata in Biotecnologie Mediche e ho da poco iniziato il secondo anno di dottorato in Scienze farmacologiche biomolecolari, sperimentali e cliniche del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari (DiSFeB). La mia attività si svolge presso due differenti sedi lavorative: il Servizio di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva (SEFAP), diretto dal Alberico L. Catapano, e la Fondazione Bruno Kessler (FBK), un ente di ricerca che si occupa da tempo -tra le altre cose- di machine learning applicato al miglioramento della salute e che ha sede a Trento.

Il mio progetto di ricerca è volto allo studio dei fattori di rischio cardiovascolare. Oggi mi piacerebbe, quindi, raccontarvi come si stima il rischio cardiovascolare e come si sta muovendo la comunità scientifica per raggiungere questo scopo così ambizioso.

Per cominciare, vorrei affrontare con voi queste prime due questioni: 1) che cosa sono le malattie cardiovascolari? 2) Perché è importante individuare i soggetti a rischio?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo, provocando approssimativamente 17,9 milioni di morti ogni anno. Le malattie cardiovascolari includono tutte quelle patologie che colpiscono il cuore e i vasi sanguigni. Sono quindi un gruppo di malattie piuttosto vasto e variegato, che include per esempio la cardiopatia coronarica e la malattia cerebrovascolare. La maggior parte dei decessi legati alle malattie cardiovascolari sono dovuti ad infarto e ictus, e ben un terzo di queste morti avviene precocemente, prima dei 70 anni di età.

In un contesto simile, immaginate che arma potente avremmo se trovassimo uno strumento che ci permetta di individuare soggetti ad alto rischio cardiovascolare, così da poter intervenire subito con strategie di prevenzione! La possibilità di intervenire per tempo ci permetterebbe infatti di ridurre il numero di infarti e ictus.

La questione è oggetto di ricerca in tutto il mondo da diversi anni ma di cosa si tratta, esattamente?

Dobbiamo anzitutto considerare che le malattie cardiovascolari sono un evento multifattoriale: a determinarle, concorrono elementi diversi, alcuni costitutivi (come l’età o il sesso), altri modificabili (come la pressione arteriosa, i livelli di colesterolo, l’abitudine al fumo, lo stile di vita e l’alimentazione). Si è cercato quindi un sistema in grado di predire il rischio cardiovascolare di un soggetto caratterizzato da certi livelli di quei fattori.

Si tratta di quello che viene comunemente chiamato score (in italiano punteggio). L’idea è riuscire a individuare i fattori di rischio e a valutare quanti di questi fattori di rischio siano presenti in un determinato individuo (per esempio una persona potrebbe essere ipertesa, non aver mai fumato e avere alti livelli di colesterolo, un’altra potrebbe fumare e avere livelli di colesterolo nella norma) e sulla base di questi si calcola un punteggio, che corrisponde alla probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare entro un certo numero di anni. Se questo punteggio è troppo alto, superando quello che viene chiamato valore soglia (cioè un valore che divide individui a basso rischio da individui ad alto rischio), questa persona verrà considerata ad alto rischio e dovrà iniziare una strategia preventiva (per esempio una terapia farmacologica e/o smettere di fumare). 

Sembrerebbe di per sé piuttosto semplice ma in realtà la pratica è molto più complicata. Non è così facile individuare quali caratteristiche (o variabili) sono veramente importanti per identificare soggetti ad alto rischio cardiovascolare.

Se per alcune caratteristiche è ovvia l’associazione con il rischio cardiovascolare, l’impatto di questa associazione non è però uguale per tutte. Infatti, la parte più difficile del lavoro deve ancora venire! Una volta identificati questi fattori di rischio, come faccio a sapere il loro peso? In altre parole, come faccio a sapere quali sono più importanti (e quanto lo sono) per stimare il rischio di un soggetto? Per esempio, è più a rischio un soggetto iperteso non fumatore o un soggetto fumatore non iperteso? Rispondere a queste domande non è immediato e richiede metodi statistici avanzati, che ci aiutino a creare un modello, cioè a identificare i predittori e stimare il loro peso. 

Una volta generato il modello, siamo pronti a calcolare il punteggio? Sì ma a questo punto subentra un altro problema. Per generare un modello, si procede studiando una popolazione molto vasta di volontari, che accettano di rispondere a questionari, sottoporsi a esami del sangue, e ad essere seguiti nel tempo per valutare l’associazione dei diversi fattori con la probabilità di andare o meno incontro a un evento cardiovascolare.

Una volta raccolte tutte queste informazioni per migliaia di soggetti, si genera il modello. Ma un modello generato a partire da una popolazione americana, si adatterà bene alla popolazione italiana? La risposta è non molto. Questo perché abbiamo abitudini, caratteristiche genetiche e stili di vita completamente differenti.

Negli anni sono stati proposti moltissimi (più di 300!) modelli diversi, per la maggior parte proposti da gruppi di ricerca americani ed europei. Gli score attualmente più utilizzati sono il Framingham in America e lo SCORE in Europa. Ne esiste inoltre uno italiano, il Cuore.

A questo punto potrebbe sorgere spontanea questa domanda: perché ancora molti ricercatori stanno cercando di sviluppare nuovi modelli se disponiamo già di oltre 300 score diversi? Ebbene, quasi tutti gli score generati negli ultimi decenni si basano più o meno sulle stesse variabili: sesso, età, fumo, livelli di colesterolo, ipertensione, diabete e storia familiare di eventi cardiovascolari. Non che non vi siano altri fattori legati al rischio cardiovascolare, ma nei modelli finora utilizzati il loro contributo è sempre risultato irrilevante. Ora disponiamo di moltissimi nuovi approcci che permettono la creazione di modelli.

Quello che sto utilizzando per il mio progetto di dottorato è il machine learning, che avevo già descritto lo scorso anno in un post su Ricerca MIx. Ciò che si sta cercando di fare è trovare un modello con un potere predittivo maggiore, cioè più potente nell’identificare soggetti ad alto rischio.

L’applicazione di questi approcci innovativi sta mostrando l’importanza di altre variabili, fino ad ora trascurate. Per esempio, recentemente è stato pubblicato uno studio molto interessante ed è emerso che anche la presenza di malattie mentali severe può essere un importante fattore di rischio cardiovascolare. La sfida del machine learning è quindi quella di valorizzare i contributi di molti più fattori rispetto a quanto utilizzato tradizionalmente finora.

Sarà sicuramente molto interessante vedere se l’utilizzo di questi approcci così innovativi ci permetterà di migliorare le nostre capacità di stima del rischio. Aumentare la accuratezza e precisione di questi modelli potrebbe fornirci le basi per strategie di prevenzione cardiovascolare davvero a misura di ogni singolo paziente, riducendo il drammatico impatto delle malattie cardiovascolari.

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