LCAT: un viaggio nella scienza lungo 3 anni

Buongiorno a tutti, mi chiamo Arianna Strazzella e sono una dottoranda ormai giunta al termine del suo percorso di dottorato in Scienze Farmacologiche Biomolecolari, Sperimentali e Cliniche. Durante il percorso, l’interesse della mia ricerca è stato lo studio di una malattia rara, il deficit di LCAT. Questa patologia è una condizione recessiva determinata da mutazioni di tipo “loss of function” a carico del gene che codifica per questa proteina, la sola responsabile dell’esterificazione del colesterolo nel plasma.

I soggetti che ne sono affetti presentano valori molto bassi di HDL, con forme principalmente immature e discoidali poiché LCAT è coinvolto anche nella maturazione di queste particelle, oltre ad avere una grande quantità di colesterolo libero circolante, che viene assemblato insieme ai fosfolipidi in una lipoproteina anomala chiamata LpX. I portatori del difetto in omozigosi sono affetti da malattia renale, che degenera in insufficienza renale cronica anche in giovane età. 

Ad oggi le opzioni terapeutiche disponibili sono atte solo alla correzione del sintomo, senza però essere risolutive, in quanto persino dopo il trapianto renale la patologia si ripresenta. Anche se molti aspetti legati alla descrizione delle manifestazioni cliniche e delle alterazioni lipidiche nel deficit di LCAT sono ad oggi noti, molte domande non hanno ancora trovato una risposta, come ad esempio il meccanismo molecolare del danno renale mediato dalle anomalie lipoproteiche o lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici mirati. 

Nel mio viaggio nella ricerca ho avuto modo di approcciarmi a molti di questi aspetti, tra i quali lo studio dei meccanismi patologici innescati dall’accumulo di LpX e di preβ-HDL a livello renale tramite studi in vitro su cellule di questo organo. Tali studi suggeriscono la presenza di modifiche indotte dalle anomalie lipoproteiche a livello cellulare, che sembrano aumentare lo stress ossidativo e la disfunzione a livello glomerulare e tubulare.

Un altro aspetto non ancora approfondito riguarda le alterazioni nella composizione delle HDL nei portatori di deficit di LCAT. Per fare luce su questo punto, ho passato sei mesi nel laboratorio di Kontush presso l’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM) di Parigi, dove il lipidoma delle lipoproteine dei portatori è stato analizzato; i risultati hanno evidenziato alterazioni nelle componenti fosfolipidiche e sfingolipidiche degli omozigoti, che potrebbero spiegare potenzialmente la nocività a livello renale di queste particelle.

Oltre a lavorare sull’identificazione del meccanismo di danno, ho avuto l’opportunità di partecipare ad un progetto atto a definire se una particolare formulazione di HDL sintetiche, chiamata CER-001, già testata in precedenti portatori di ipoalfalipoproteinemia, potesse rappresentare un potenziale approccio terapeutico per i soggetti affetti da deficit di LCAT. Il risultato della nostra ricerca ha dimostrato che in un modello della patologia, il trattamento con CER-001 induce un miglioramento del profilo lipidico associato ad un incremento della funzionalità renale. I dati ottenuti hanno gettato le basi per la valutazione di questa formulazione nei portatori, che ad ora è in corso.

Infine, un ultimo aspetto di questa complessa patologia riguarda la condizione non genetica: infatti, è stato dimostrato in passato che la riduzione di HDL associata alla malattia renale cronica è spiegata da un deficit “acquisito” o secondario di LCAT. I risultati della ricerca svolta hanno dimostrato che nella popolazione generali, ridotte concentrazioni dell’enzima sono associate a una più rapida alterazione della funzionalità renale nel tempo.

Per concludere, questo viaggio lungo tre anni mi ha arricchita di conoscenze, di esperienze e di scoperte, sia scientifiche che umane, e mi lascia la soddisfazione di aver contribuito a trovare qualche piccolo tassello di un puzzle ancora da finire.


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