Riduzione del rischio cardiovascolare o aumento del peso corporeo e del rischio di diabete? questo è il dilemma

Il post di oggi riguarda un dilemma che in campo farmacologico clinico cardiovascolare continua a suscitare interesse e curiosità. L’avvento di nuovi approcci terapeutici additivi o alternativi al trattamento classico con statine ha permesso il raggiungimento degli obiettivi raccomandati dalle linee guida internazionali anche per i pazienti ad elevato rischio o non responsivi alle più comuni strategie con statine; questi approcci si basano su anticorpi monoclonali anti-PCSK9.

Come già anticipato in alcuni post precedenti, questa proteina altera i livelli di colesterolo cattivo impedendone l’internalizzazione nel fegato e, pertanto, rappresenta un target attraente, soprattutto quando non riusciamo a ridurre la sintesi endogena di colesterolo con i farmaci classici.

Molti studi clinici hanno ad oggi valutato anche gli effetti secondari all’utilizzo di questi farmaci, non riscontrando effetti collaterali allarmanti. In particolare, questi farmaci non sembrano aggravare uno dei problemi più comuni associati alle statine, ovvero i dolori muscolari.

Si è potuto concludere, pertanto, che con questi approcci l’era del “the lower, the better” per la riduzione di colesterolo sia al suo apice.

D’altra parte, non siamo ad oggi completamente sicuri che ridurre i livelli di questa proteina non possa avere altri effetti collaterali dal punto di vista metabolico. PCSK9 è una proteina espressa in diversi tessuti diversi dal fegato, tra cui intestino, cervello e pancreas e, pertanto, viene da chiedersi quale possa essere l’effetto locale nella riduzione di questa proteina.

In uno studio finanziato da Fondazione Cariplo, abbiamo di recente dimostrato come inibire la produzione di PCSK9, silenziando il suo gene, porti a una maggiore incidenza di obesità viscerale in modelli sperimentali.

Lo stesso è stato confermato anche sull’uomo: alcune mutazioni genetiche, che dimezzano i livelli di PCSK9 sanguigni, determinano valori dell’indice di massa corporea (BMI) maggiori nonché un maggiore rischio di steatosi epatica e deposizione di tessuto adiposo a livello cardiaco. I pochi portatori di queste mutazioni tuttavia non mostrano particolari patologie ma, al contrario, beneficiano di un ridotto rischio cardiovascolare in ragione di livelli di colesterolo cattivo ridotti.

Continuando il nostro viaggio in quello che sembrerebbe un paradosso, recenti studi su ampie popolazioni di etnie multiple hanno mostrato che questi stessi soggetti hanno un rischio aumentato di sviluppare diabete di tipo II e resistenza alla risposta dell’insulina. Per non farci mancare nulla, questo effetto sembra essere tanto più evidente quanto più abbassiamo i livelli di colesterolo cattivo!

Queste osservazioni ci hanno spinto a intraprendere analisi sperimentali, sempre finanziate da Fondazione Cariplo, per meglio comprendere quali possano essere i meccanismi alla base di questa curiosa relazione. Il nostro studio è reso anche più robusto dal riscontro diretto che abbiamo sui pazienti seguiti presso il Centro per Studio dell’Aterosclerosi, all’Ospedale Bassini, grazie al supporto costante della Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi.

Dobbiamo accumulare la maggior quantità di rassicurazioni a proposito dell’impiego di questi nuovi farmaci, consci che tutti questi effetti possano non dipendere dalla loro azione- ma siano riflesso di altri meccanismi cellulari da chiarire.

Negli angoli bui, quando non conosciamo bene qualcosa, siamo portati a immaginare mostri, ma non possiamo escludere che quello che stiamo osservando ci nasconda invece nuove realtà, nuove prospettive terapeutiche. Per questo si rende scientificamente e socialmente necessaria la ricerca farmacologica sperimentale proprio in questa direzione.


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